sabato 28 dicembre 2019

"Quattro vite speciali", di Mariella Biagini e Chiara Zucconi



E' sempre difficile scrivere due righe riguardante un libro. 
Specialmente se, in questo caso, una delle due autrici è una mia cara amica ed è alla sua prima esperienza, la paura di scrivere giudizi di parte o negativi è sempre presente. Dovrò utilizzare una faccia da poker alla Marco Belinelli duante i suoi anni migliori in NBA per la realizzazione di questo post e non cadere in tentazione.  

"Quattro vite speciali" parla di quattro donne che, pur non conoscendosi, affrontano insieme un viaggio per risolvere i loro problemi della vita. Collaborando, nonostante il passato che si lasciano alle spalle e che di tanto in tanto ritorna. (Lo so, Chiara, riassunto molto striminzito. Ma non amo fare spoiler, motivo in più per spingere le persone a procedere all'acquisto, è il mio "modus operandi"). 
Se c'e una cosa che amo dei libri, però, è di come ti capitano tra le mani al posto giusto e al momento giusto, quando si dice "tempismo". 

L'ho trovato molto scorrevole, visto che l'ho letto in mezza mattinata mentre ero a fare le solite flebo in ospedale qualche giorno fa. L'ho gustato, assaporato in ogni sfumatura senza immedesimarmi nei personaggi perché...beh, sono un uomo. Ma mi ha fatto rivivere l'idea di dover "prendere e andare", senza conoscere nessuno. Come quando anni fa nel mese di Dicembre, speranzoso, avevo fatto i salti mortali in questura per realizzare il passaporto e poi, mese dopo mese, anno dopo anno, nel 2019 è ancora privo di timbri. 
Senza nulla togliere ai viaggi passati fatti in dolce compagnia, sono tornato indietro nel tempo al 2007. Dove senza conoscere nessuno e senza amici (e senza aria condizionata da Bologna, credo, fino a Lecce) avevo pianificato il viaggio Udine-Nardò. Non per andare a ballare in Puglia come canta Caparezza, ma per risolvere alcuni problemi che avevo nella mia mente e che solo io potevo risolvere. Con la spensieratezza di un turista come le quattro protagoniste alle Isole Cayman, ma con l'occhio vigile per capire cosa fare di me e del mio futuro: Nel mio caso, avevo appena finito il mio percorso scolastico ed ero entrato in punta di piedi nel mondo del lavoro come operaio. 
Ricordo ancora le chiacchiere fatte con una signora a me molto cara e che mi ha aiutato tanto in questo nuovo percorso della mia vita. Una discussione in una scura notte salentina tra bicchieri di Negroamaro (non quello del supermercato...quello vero!) dove dovevo ripartire da zero, mettendo in soffitta uno scatolone di decisioni sbagliate quali, per esempio, "istituto professionale e idraulico", affrontando un nuovo cambiamento.  Così come l'infinito pianto liberatorio per accettare le sconfitte scolastiche o della vita stessa. In silenzio, sul letto del B&b che mi ospitava senza dar (para)noia a chi gestiva o agli altri residenti. 

Come una tappa obbligatoria nella vita. Un passaggio carico di consapevolezza e responsabilità per le decisioni prese.




Parlavo di tempismo nel leggerlo. Quante volte progetto di prendere e andare, prendendo esempio da un cugino che sta a Fuerteventura o un'altro a Miami. 
La sera prima d'iniziare il libro è stata la classica giornata da dimenticare, dove tutto era andato storto, volevo gettare la spugna e dar vita al desiderio spesso presente in ognuno di noi. Dalle mie parti si dice "Voie di lâ vie", "Voglia di andare via". Che si, ha lo stesso significato. Ma per noi friulani, così legati alla nostra terra è un coltello a doppio taglio. Consapevoli che tante piccole cose che abbiamo qua non le troviamo da altre parti. La mia fortuna è che, anche se sono nato e cresciuto qui, sono un meticcio (evidentemente il cane, come animale, è il mio spirito guida) di due regioni. Come un fiume che verso la foce si ramifica in più bracci, anche le esperienze passate della mia famiglia si ramificano in più regioni e più esperienze anche all'estero e di conseguenza questo sarà il mio futuro. Cittadino del Mondo -Mia madre stessa, durante il terremoto del 1976, senza conoscere nessuno, dalla provincia di Torino ha mollato tutto per venire a soccorrere i terremotati come volontaria, o mia nonna paterna nata in Italia ma cresciuta in Francia...l'elenco è lungo-. 
Se devo anestetizzare tutto ciò che mi crea confusione organizzando un viaggio come racconta il libro, con altre tre persone (a prescindere se amici o amiche)? Nel mio caso no. I miei viaggi terapeutici vanno da una a due persone. Ma è una terapia, anzi, un'esperienza che consiglio a tutti: Chi di noi non è estremamente stufo quando le cose non vanno come dovrebbero andare? Dei vari vampiri energetici che ci spolpano energia solo per potersi ricaricare lasciandoci sfiniti (e pure coi sensi di colpa)? O semplicemente di avvenimenti gravi che ci mettono i bastoni tra le ruote. Problemi ben più seri e importanti.

La risposta? Prendete e andate, senza paura! Mi viene in mente la prima puntata di Perdipiave e soprattutto l'introduzione ad essa con le parole di Lele Marcassa:  "Perdersi, invece di ritrovarsi". Proprio perché i viaggi servono anche a questo, a livello introspettivo.


L'idea di unire Bianca, Anna, Enrica e Giulia (le protagoniste) dal nulla; in un nuovo gruppo di amiche partendo da zero l'ho trovata perfetta. D'altronde è risaputo: cerchiamo sempre di trovare conforto tra le parole degli amici a noi vicini, ma gli stessi sono di parte. Capaci di donarci una spalla su cui piangere o dandoci ragione anche se siamo nel torto, oppure (come accade nel mio caso) cazziarci per idee surreali da fare insieme (Quando propongo a mezzo mondo di fare la patente nautica, andare a vedere l'alba in cima al monte Matajur o qualsiasi altra folle idea mi passa per la testa. "Ma ti droghi/Hai fumato/Tu non sei normale" sono le risposte standard). Gli estranei, persone con cui non abbiamo confidenza sono neutrali. Non vedono in noi un amico ma una persona X e come spesso accade ci donano le risposte migliori. Risposte che a volte fanno male o facciamo fatica a digerire, ma comunque reali. Giuste. 


Spetta solo a noi, riprendendomi al giocatore di basket nominato nell'introduzione, avere le "Huevos grandes" (come dicono in Spagna) e affrontare i cambiamenti della vita. A costo di dover stravolgere piani e abitudini per affrontare un viaggio, un percorso di maturazione interiore assieme a chi è uguale e diverso a noi.


In quanto di parte, non voglio recensirlo ulteriormente o svelare i pro e i contro del libro. Le recensioni, come dico sempre, le lascio fare a chi di dovere. Queste sono solo riflessioni di un "avido lettore" (come mi chiama Chiara) che i suoi viaggi terapeutici li fa aprendo un libro. Come in questo caso.

Sperando, prima o poi, di riuscire a mettere un timbro "reale" in quel maledetto passaporto sommerso dalla polvere.








mercoledì 25 dicembre 2019

It's fuckin' Christmas time...again!




Sono le 8.30 del mattino.

Il sole risplende sulla casa di fronte camera mia, rendendo così quel classico giallo ocra (credo, non ho ancora fatto colazione quindi non ho ancora connesso il cervello) ancora più luminoso. Il cielo è sereno, neanche una nuvola in cielo e per una volta sono a casa -evitando, cortesemente, commenti e paragoni lavorativi. Non è una gara di virilità col righello in mano per vedere chi sta messo meglio o peggio: Il lavoro perfetto non esiste per nessuno e, come si dice in friulano "Ognun al bale cun so agne"- 


(un po' d'ironia in marilenghe ci sta!)


Eppure sento che manca qualcosa. Vedo sul telefono la data del 25 Dicembre. Whatsapp da un paio d'anni entra nel vortice del "Anche a te e famiglia" già dalle prime ore del mattino. Bel dramma, per uno che vuole aggiornare la squadra di Dunkest (Fantabasket). 
"It's fuckin' Christmas time again", mi ricorda cantando il comico dei Monty Python Eric Idle. Ma il Natale, quello vero, non lo sento da anni. 
Per una volta cerco di riassaporare quello spirito di unità e sorrisi che, almeno per me è andato via via a perdersi nel tempo. 

Innanzitutto associo il Natale alla famiglia e ai momenti passati insieme. Con mio nonno qua in Friuli quando era ancora vivo e con zii e cugini a ovest, in provincia di Torino. Ma andiamo per ordine cronologico.
Il primo ricordo di questa festività è legato ad una sera buia, in sala da pranzo/salotto. Illuminata solo dal caminetto e qualche candela. Ero seduto sulle gambe di mia madre che aprivo quello che era penso il mio primo regalo da "cosciente", forse avevo quattro o cinue anni. Era un camioncino dei pompieri della lego, che dopo averlo montato ha avuto vita breve (provando penso per la prima volta il senso di colpa, ipotizzo). 
C'era collaborazione. Anche negli addobbi. Ora sono una persona minimalista, meno cose ci sono a casa meglio è: Il vuoto da libero sfogo all'immaginazione, mentre il tanto crea confusione. 
Ma mi piaceva fare il presepe. Non tanto per ricreare la scena nota a tutti (anche se come tutti i bambini ero inizialmente nel team "Cacca al diavolo, fiori a Gesù". Poi crescendo i punti di vista su quella che è definita religione e chi li rappresenta sono cambiati), quanto per andare sul monticello del paese assieme a mio nonno a recuperare il muschio. Quello vero, fresco! Dall'interno dei mattoni forati presenti in un vecchio muro. Portavamo a casa sempre due borse di plastica della spesa belle piene. Una per noi e una per lui e la nonna. 
Passare per stradine secondarie, nascoste. Agli occhi di un bambino un folto bosco sembrava una foresta ricca di misteri e scoperte. Sicuramente l'entusiasmo me l'aveva donato il "topolino" con quelle che erano le storie a bivio. Il tutto ritornando a casa e montare pezzo per pezzo, personaggio dopo personaggio questo addobbo natalizio. Giocando col pescatore e il pastore, forse già avevo capito che bisogna fidarsi degli animali e chi da loro attenzione. Vedere le lucine che davano vita alle case, soprattutto quella azzurra che riusciva a stregarmi ogni volta. Sopratutto per la complicità della carta stagnola che riusciva a ricreare l'effetto acqua. 
Trovavo questa cosa ironica: Per anni ero io ero quello che giocava con i pupazzetti (spesso lego) e una volta l'anno gli adulti facevano altrettanto con le statuine! Ovviamente, col tempo, i miei amici di quella che ora è chiamata "Lego City" andavano a fare visita ai vari personaggi. Non come i Magi con oro incenso e mirra, ma risolvere misteri degni della "Mystery Inc." di Scooby Doo. 

Da amante della pulizia, ho sempre odiato l'albero. I primi tempi ricordo l'albero vero con gli aghi di pino che cadevano. Mi urtava l'idea di vedere tutto quel disordine per terra. Il sodalizio, però, c'e stato per qualche anno complice l'arrivo dell'albero finto e del libro "Cosa fare quando piove", con i personaggi del "Fantastico mondo di Richard Scarry". C'erano dei disegni natalizi da disegnare e ritagliare per addobbare l'albero.
Cosa preferivo però erano quegli adesivi trasparenti da attaccare sulle finestre. Reduce dai vari album delle figurine di quel periodo ero rimasto sorpreso di come un foglio trasparente, se attaccato su un vetro, è visibile da entrambe le parti! Pura stregoneria, agli occhi di un bambinetto! 

La neve!

Cos'è 'sto cielo sereno? I momenti più belli li ho passati quando il mio "anonimo" paese era interamente innevato e mio nonno mi portava in giro sulla slitta! Il mio enorme amico a quattro zampe, Cin-Cin, ricordava Chewbecca, visto il suo folto manto di pelo e la sua stazza (sempre dal punto di vista di un bambino). 
Ricordo per esempio di un pupazzo di neve fatto in giardino e tutt'ora solo al pensiero resto spiazzato dalla grandezza (dal punto di vista di un 35enne), pari a quella di mia madre che, nel corso degli anni è rimasta alta uguale.



Insomma: complessivamente una meravigliosa cartolina di natale ricca di purezza e la bontà presente in tutti i bambini nei primi anni di vita.


Udine-Torino :

Non avendo fratelli o sorelle posso dire di aver trovato quello spirito di camerata in quelle che erano le "Vacanze invernali", il momento più bello e tanto atteso per uno studente.
Senza nulla togliere ai cugini arrivati dopo verso la fine dei '90, ma in qualche modo visto quanto eravamo e siamo tutt'ora numerosi con l'arrivo di nuovi nipotini, mi viene in mente il paragone con la famiglia McCallister di "Mamma ho perso l'aereo". Che prima della basket mania era presente nella tv di un mio cugino.
Già, prima della "basket mania", perché se ho questa malattia lo devo ai due cugini più grandi che mi portarono d'estate e ogni tanto anche d'inverno al campetto a fare due tiri. Il tempo passava e da bambinetti casinisti siamo passati alla fede Jordaniana. Ricordo, dei tanti episodi, le partite col canestro in camera di uno o dell'altro. Seguite dai regali di dicembre del 1997: Una mia zia ci regalò una videocassetta a testa su tre giocatori: Uno si beccò Shaquille O'Neal, l'altro Michael Jordan e io Grant Hill. Adoravo quella videocassetta e adoravo questo giocatore.
L'altro episodio era il primo All Star Game visto in vita mia, quello del 1996 e una pubblicità (questa) che mi disturbava visto il mio problema con le altezze.
Ovviamente poi i pranzi tutti insieme, le diapositive e alcuni miei momenti d'ilarità con battute che ero solito fare. In quel periodo sembravo uscito da una stand up comedy. Non stavo mai zitto e ogni occasione era buona per fare ironia. Sicuramente era l'armatura costruita per non mostrare determinate insicurezze.

Insomma, un clima di festa ricca di sorrisi. Almeno da quello che poteva percepire un teenager con l'armatura da comico. Citando "I still love you" dei Bluvertigo

"Ho studiato come tutti, perché mi avevano costretto
non ne capivo la ragione
ma ora ti ringrazio, ovunque tu sia.
Qualche volta i miei minuscoli problemi
possono essere state misere cazzate
ma per me erano gravi, ed ora è bello riderne".

Buffo come questa canzone e quest'album sono usciti nel 1995 e come descrive effettivamente quello che era la mia entrata nell'età più complessa, ovvero essere un adolescente.
Mi riporta all'anno successivo: Soprattutto il Natale del 1996, quando mia madre mi regalò il libro "Il diario segreto di Adrian Mole". Mai regalo fu più azzeccato per un dodicenne atipico con il cervello fuori di sede. A leggere le avventure del protagonista mi son sentito meno solo, ricordo ancora come in classe molti erano incuriositi nel vedermi leggere avidamente durante le lezioni chiedendomi poi se potevo prestarlo una volta finito.


Ora, ripensando a questi e a molti altri ricordi passati legati al natale, mi rendo conto che manca la complicità, il senso di famiglia (Pazienza per la neve).  La sensazione del Natale. Almeno per me. Negli anni '90 si respirava l'aria degli anni '90, è strano a definire questa frase. Fatto di alti e bassi ma le emozioni erano comunque vere, non di plastica o ancor peggio di social.
Tutto così materialista. "Solo cose. Non voglio cose", citando Alexander Supertramp.



Anni fa avevo scoperto un gruppo sparito poi dalla circolazione, si chiamava "SpazioBianco". Avevano fatto una canzone intitolata "Natale di Merda". Che in teoria doveva essere il titolo in chiave ironico del post, ma anche il british humor di Eric Idle rende molto l'idea.
La strofa finale recita così*, Ed è quello che "voglio" io, per questo natale. Riscoprire il valore della famiglia sparito ormai da anni. Fare una passeggiata con un amico a quattro zampe, a prescindere se in riva al Tagliamento o su un monticello.
Non rivivere ricordi passati alimentando in me una vana speranza. Ma farne di nuovi usando tutto ciò che ho descritto come base solida per felici momenti futuri.

*"Sta arrivando un altro natale di merda
televisione coi programmi di merda
e non mi frega un cazzo
dei messaggi coi cuori
Se c'e neve qua fuori
sciarpa quanti e cappello.
no, io non sono quello
Tombola sette e mezzo
Forse sembrerò pazzo
ma piuttosto m'ammazzo.
Io voglio solo mia madre
voglio solo mio padre
E voglio solo il mio cane
Senza cori e campane."


Quindi buone feste a tutti voi, iscritti e non. Passatelo bene con i vostri cari e prendete sempre la vita con ironia! A sbuffare si alza solo polvere e siamo esseri umani, non swiffer! E se lo fate...vi prego: almeno non nei commenti qua sotto, oggi è festa e di certo non mi metto a fare pulizie 😂






...








mercoledì 18 dicembre 2019

Prendere la vita un po' più..."Slowly".









Dicembre è un mese devastante per chi come me lavora in un supermercato, tra turni nei festivi e inventari (come l'inventario che faremo il 31 dicembre alle 18.00 o quello classico del 6 Gennaio). A peggiorare le cose è tutta questa fretta, questo clima d'odio che ha che fare con tutto tranne con le festività natalizie (se Dio, il prodigioso spaghetto volantel'invisibile unicorno rosa o chi per loro vorrà, arriverà un post dal titolo provocatorio a tema, ma comunque ricco di valori posititvi).
"Come mai non scrivi più sul blog?" è la frase che mi sento dire con frequenza da persone care, soprattutto da mia madre che di tanto in tanto fa aumentare le visite su questo blog per capire i pensieri e le mosse del figlio. Come una partita a scacchi. O Chess Boxing (Scacchi-pugilato) , visto i dispetti che le faccio continuamente. 

...si, il Chess Boxing esiste. 

Non scrivo più, o almeno non con la frequenza di qualche mese fa, perché il mese di Dicembre e di Gennaio a livello mentale sanno essere deleteri, per un commesso. Riuscire a staccare la spina è sempre più difficile, stesso discorso per dare vita ai vari interessi quali scrittura, lettura e film. Non lo nego, però: Nei momenti di silenzio e senza amplificatore riprendo il mio basso in mano e, senza rompere le palle a nessuno suono in maniera molto intima canzoni quali "Boys don't Cry" dei Cure, "Santa Monica" degli Everclear o quella che più rispecchia il mio stato d'animo: "Same damn life" dei Seether. 
"Stessa dannata vita", tradotto. E in un Dicembre sempre più grigio e piovoso, con tanto lavoro da fare, appartamenti da cercare e regali da fare per le persone care avevo bisogno di un po' di colore e soprattutto, di rallentare. Lentamente. Anche con questo brutto vizio schifoso che ci lega al monitor: Il desiderio erotico delle due spunte blu su whatsapp e della classica "sega mentale" visualizza ma non risponde, dimenticando che se una persona non risponde non è perché sta complottando contro qualcuno, ma ha semplicemente altro da fare. O nel mio caso, soprattutto d'inverno, lavoro e dormo. Quindi caro Mark Zuckerberg, non ti mando una gif natalizia d'auguri. Col cuore, vai pure "affanculo" da parte mia, visto le tante vite che rovini ogni secondo." Non mi avrete mai, come volete voi",  citando i 99posse, anche se il contesto era ben diverso. 

Come spesso tendo a fare in questi casi, cito Guccini: "Scusate, non mi lego a questa schiera. Morrò pecora nera". (A renderlo ancora più credibile la mia "R" simil grattata). 


A venire incontro alle mie esigenze c'ha pensato un app che a mio dire soddisfa non solo la tempistica di un messaggio, ma mette alla prova il mio inglese alla "Ortolani" e fa rivivere quella meravigliosa magia delle lettere, dei classici amici di penna: sto parlando di  SLOWLY. (Citando ironicamente Spaceballs "Pubblicità, promozione...solo così questo blog farà i veri soldi"). 

(Forse ho esagerato: non sono così scandaloso come Rat-man) 




Nel 2019 ormai tutti ci dimentichiamo piccoli gesti di uso comune (oltre l'educazione e il rispetto, ma questo vale solo per alcuni casi umani). L'elenco è lungo. Per citare due esempi, il primo la frase di una mia collega, riconoscente per tutti gli aiuti durante il turno: "Dovrò pagarti una birra in paese, ti lascio pagato al bar o come faccio, a contattarti?" la mia risposta, scontata e col sorriso... "semplice: Din-donn... Ciao, c'e Mirko in casa?". - A mio dire cosa pure buffa, perché per anni siamo stati senza campanello e con l'arrivo di whatsapp l'unica cosa che si sente è la suoneria del telefono con un freddo messaggio "sono fuori". 
Insomma, i primi tempi a casa eravamo come Marge e Lisa Simpson e il Señor Ding Dong, in attesa di sentire il classico suono. 
La seconda abitudine, appunto, è la corrispondenza cartacea. Ora tutto è tecnologico, io stesso mi contraddico perché le tante bozze su questo blog sono salvate e non scritte sul moleskine. 
Troppe applicazioni, tutto è troppo caotico in un mondo che ci chiede in ginocchio di rallentare e tornare indietro, ai bei tempi. Almeno secondo me. 
Spulciando internet, in cerca di qualche app affidabile per dar vita al mio nuovo telefono, ho trovato questa. Cosa mi ha spinto a schiacciare su "download"? Innanzitutto la tempistica "reale". Se mando una "lettera" a una persona, a prescindere se italiana o dello Sri Lanka, sta effettivamente un paio di ore se non giorni. E in tutta onestà non potevo chiedere di meglio. Proprio in questo periodo da "Bianconiglio di Alice". 

Perché la consiglio? A mio dire ho trovato, fino adesso, molte persone splendide. Per rispetto non faccio nomi tanto meno graduatorie. Siamo persone e se c'e una cosa che odio nella vita è chi fa distinzione tra amici di serie a e serie b. (Dico "amici", ma ci sono molte categorie che si comportano così nella vita). Siamo tutti uguali e il rispetto che provo per ciascuna di loro è sullo stesso livello. 
Persone buone, che non s'incazzano se non rispondi subito ad un messaggio anche perché una lettera può arrivare anche a distanza d'un giorno. La risposta poi è ricca di sorrisi e novità (o spiacevoli notizie. Siamo persone, non automi dove ci convinciamo perennemente che tutto va bene). Esseri umani che collaborano in qualche modo, che sanno quanto è vasto il mondo e non se la prendono se X scrive a Y o a Z. Un clima di pace. 

Il secondo punto sono le lingue. Spesso tendo a scherzare sul mio inglese maccheronico alla "Ortolani". Va detto, per una volta senza sottovalutarmi, che questa nuova lingua nel 1993 quando ero in terza elementare mi aveva aiutato a risalire a galla coi voti. Nuovi stimoli e tanti "excellent" portati a casa con fierezza. 
Amo l'inglese. Merito dei Monty Python, delle canzoni straniere e allo stesso tempo delle serie tv sottotitolate. Restando nella famiglia del circo volante, le due stagioni di "Fawlty Towers" mi hanno donato molte risate, complice anche il cameriere spagnolo Manuel che in quanto inglese...beh, crea simpatiche gag e facili misunderstanding, come si può vedere dal link. Menzione speciale per i tanti stand up di comici inglesi e americani facilmente reperibili su youtube. Italiani...prendete esempio da loro per farmi ridere. Grazie. 
Sto avendo delle corrispondenze costruttive da varie parti del mondo, senza nulla togliere ai miei amici connazionali. Sentirmi "vivo" e stimolato utilizzando una lingua che spesso la spreco per richieste dei turisti di passaggio in negozio o durante i concerti, quando dietro alla bancarella del merchandise c'è uno della crew del gruppo. "How Much? Size?" .
A rendere più divertente il tutto è uno dei miei tanti "alter ego" televisivi, Sheldon Cooper. Come lui amo le bandiere, molte di esse sono ricche di significato oltre di colori e mi mettono gioia e curiosità. -Piccolo flashback, senza Howard Wolowitz che fa l'effetto sonoro: In seconda elementare, se non erro, avevo un diario con le bandiere dal mondo con tanto di spiegazioni e caratteristiche-. 

Spero, con il 2020 d'imparare alla buona almeno le basi del portoghese (sia del Portogallo che portoghese brasiliano). In qualche modo è una lingua che mi attira da qualche tempo a questa parte. Lo stesso discorso vale per lo sloveno. Abito non poi così distante dalla Slovenja e ai tempi d'oro vedevo le partite di basket sui loro canali. Ricordo ancora nel 1999 qualche partita d'eurolega o il film "Eddie", con Whoopi Goldberg in inglese sottototitolato in sloveno e qualche puntata di Friends. Quindi perché non unire l'utile col dilettevole, imparando pure qualcosa di nuovo?

A facilitare il tutto sono gli interessi: Mai avrei pensato di parlare della bellezza della mia regione con persone di Hong Kong, della Turchia, Filippine o dello Sri Lanka (per citarne un paio).
Per non parlare del mio birdwatching casalingo apprezzato e condiviso da più di qualche persona, specialmente connazionale. Mi sento meno solo e più compreso!
Cosa ancora più piacevole tener vivo l'interesse per la musica e la lettura.  Ovviamente quando si crea un profilo gli interessi sono la base, l'ABC per iniziare un dialogo tra persone nuove.
Ancora più saggio è l'icona che ti raffigura: Un avatar disegnato che ti rappresenta in base ovviamente alle tue caratteristiche fisiche, come quando, sempre alle elementari, ti davano l'indirizzo di un bambino per la corrispondenza e dalla descrizione dovevi assemblare il tutto con un po' di fantasia.


Questa scoperta, per me, è il regalo di Natale anticipato. Nel periodo delle superiori la cassetta della posta era sempre ricca di lettere provenienti da varie regioni d'Italia, merito dei vari annunci anche presenti su riviste quali "Tutto! musica" e tutt'ora riesco a portare avanti alcune di quelle favolose corrispondenze. Dico favolose perché nel corso degli anni è nata una splendida amicizia e trovo molto dolce e riflessivo l'evolversi di una persona. Dalle prime lettere fatte d'interessi e risate alle esperienze di vita e lavorative, sbocchi creativi e via via dicendo. Quando il "pezzo di carta" è veramente sinonimo di maturità, lontano insegnanti che ti giudicano per dimostrare qualcosa.



Se volete scaricare l'applicazione ecco il link: https://www.getslowly.com/it/