martedì 27 agosto 2019

HAPPYish: la parte cinica di me (ritrovata per caso in una serie tv)


Spesso il mio rapporto con le serie tv, escludendo quelle più conosciute come Friends, Twin Peaks o X-Files, è parecchio burrascoso: Sono sempre stato il bastian contrario che non vuole guardare un programma semplicemente perché tutti stanno li con il viso attaccato allo schermo. Cerco piuttosto di trovare qualcosa più alla mia portata, una trama che in qualche modo ha qualcosa da dirmi. Un segnale, diciamo.
Ovviamente, quando trovo qualcosa che mi piace (Alcatraz, Bored to Death, L'isola del tesoro per esempio) la loro durata oscilla tra una e tre stagioni. N.B: con i Durrell siamo "casualmente" a tre, occhio Mirko.

HAPPYish, uscita il giorno del mio compleanno del 2015 -evidentemente era già tutto scritto-, è una serie tv cinica, cattiva, che fa dell'umorismo dark anche sulle situazioni più drammatiche. E mi è piaciuta per mille motivi.

Ed è stata tagliata dopo una sola stagione.





E' la storia di un pubblicitario 44enne, Thom Payne, interpretato da Steve Coogan (visto di recente nel film Stanlio & Ollio) alle prese con quello che è il cambiamento radicale della sua azienda: vengono nominati due giovani svedesi come direttori creativi e di conseguenza deve restare al passo con i tempi, mal volentieri, quel tanto che basta da perdersi e riflettere sulla propria vita. Anche in modo cinico e simpaticamente cattivo.
Ovviamente il tutto si riflette anche nella vita privata, come marito, padre e amico.




L'ho scoperta per caso. Come quando vado in libreria e sento i libri chiamarmi pur non avendo mai letto recensioni a riguardo. E' capitato con "La moglie dell'uomo che viaggiava nel tempo" (prestato e mai più ritornato, la cosa buffa è che ho trovato una vecchia edizione tra i libri di mia madre: era anche li destino) e "Una perfetta giornata perfetta", di Martin Page.
Mi ha letteralmente rapito, puntata dopo puntata. Per tanti punti di riflessione in comune nella vita quotidiana, per esempio certe situazioni lavorative paradossalmente uguali e diverse allo stesso tempo: Posso solo limitarmi a dire che il concetto di "famiglia" che i due direttori creativi svedesi vogliono portare alla MGT, sede dove lavora Thom, stava stretto -da spettatore- anche a me che, come spesso accade, tendo ad essere uno che timbra il cartellino e sta per i fatti suoi evitando se possibile cene aziendali con colleghi. (Premessa onde evitare scomodi fraintendimenti lavorativi futuri: ad alcuni di loro voglio veramente un bene dell'anima: Presto libri, consiglio gruppi musicali e c'e un rapporto a dir poco delizioso...ma preferisco non andare mai oltre per principio. Forse per paura di creare un legame così complice che, a causa d'incomprensioni lavorative, andrà via via a deteriorarsi nel tempo per cazzate insostenibili ).

Thom per restare in pace con se stesso e la sua famiglia, si era trasferito a Woodstock proprio per il quieto vivere e proteggere i suoi cari in quella che lui chiama la "campana di vetro", circondato da una coppia, entrambi con figli di cinque anni, cinica quanto loro (Memorabile, vedendoli giocare, lo scambio di battute ricche di cinismo dette col sorriso tra i due padri: "Lo sai che tuo figlio è una grandissima testa di cazzo? Diventerà uno stronzo un domani." "Il tuo invece diventerà una fighetta: Hai notato che continua a guardare Dora l'esploratrice?"). Per qualche ovvio motivo in questa scena sono riuscito a proiettare me e il mio più caro amico. Il tutto, ovviamente, ridendoci su.
Lavorando a contatto con il pubblico, in quanto commesso/addetto sala, trovo -concerti a parte- fastidioso ritrovarmi circondato il più delle volte dalla confusione in se nei momenti di riposo. Apprezzando col passare degli anni,  il silenzio. Questo fa anche capire perché mi sveglio ogni giorno alle cinque del mattino anche se non sono di turno: il paese per una volta è taciturno. Nessuno che chiama urlando vari conoscenti da una parte all'altra del marciapiede, creando così siparietti che si dividono tra il  folkoristico e la pesantezza cosmica. Citando un dialogo di uno dei miei film preferiti (Numb, con Matthew Perry):

<<Sara: "Do you ever feel better?"

Hudson "4.45 am

And for the next 20 minutes, the only time in this city's day when is completely deserted.

I feel like we're the last people on earth.

I wish it was like this all the time". >>

Ma questo "sentirsi bene se isolato", come spesso accade (almeno per me) può essere deleterio: Mi rendo conto che ho bisogno del contatto umano per vivere e devo imparare ad uscire un po' di più. Me lo sento dire spesso da varie persone. Giorno dopo giorno.
Senza vivere col pensiero "devo accendere il pc e scrivere" (per quello esiste ancora la penna e il fidato moleskine). -Se non scrivere, fare dormite pomeridiane che oscillano dalle due alle tre ore buone-.
Probabilmente anche per questo motivo cerco sempre di mettermi alla prova parlando con persone che non conosco, specialmente nel pub del mio caro amico e della sua compagna: Se per certi versi, come scritto in altri post, so essere costante e determinato lavorando su me stesso a livello fisico e mentale, in altri ho letteralmente accantonato quelli che sono i rapporti umani, forse per esperienze negative che la vita mi ha fatto trovare nel mio percorso di crescita.
Mi sa, da fan dei Bluvertigo, che ho ascoltato troppe volte "L.S.D (La Sua Dimensione)" e cito:"La mia terra è fatta da rapporti umani / quasi tutti deteriori / e a volte sono anche deleteri".


Senza dimenticare ovviamente il mio rapporto con la tecnologia: Le scene dove il protagonista prende la metro per andare a lavoro e, mentre legge il suo libro cartaceo, si ritrova circondato da gente chiacchierona "armata" di tablet la dice lunga.
Per non parlare anche del rapporto con il mondo della telefonia, visto che pian pianino il mio vecchio Galaxy sta eliminando numeri da solo (non chiedetemi come). Evidentemente, ha vita propria.



L'unica differenza è che in quanto sono pro-android non mi convertirò a questa "nuova" religione.


Tra i tanti esempi da citare in sole dieci puntate, c'e quella dove afferma di essere un alieno. L'ho adorata quella puntata: Quante volte penso, forse con esagerato egoismo a dispetto di chi mi vuole bene, un rapimento da parte loro (o almeno che mi "riportano a casa"). Quella frase ripetuta, visto vari eventi dell'episodio, "Perché in questo cazzo di pianeta tutto va alla rovescia?". Seguito dal sogno ad occhi aperti: Un disco volante che appare durante una riunione lavorativa (per Thom) o quando Lee, la moglie, è uscita da scuola dopo un colloquio tra genitori. Entrambi guardano l'astronave estasiati, sbracciando e urlando "Sono qui!! Mi vedete? Riportatemi con voi! Ehi!!".
Qua non mi voglio dilungare troppo: Lo sanno anche i sassi che il mio rapporto con questo universo ricco di misteri è presente in me da quando avevo 12 anni. Ho molto da dire per quanto riguarda l'ufologia e altre forme di vita, tant'è che ho in mente di fare un post a se (visto il libro che sto leggendo, se avete fatto caso -per chi in questo momento vede il blog dal pc-).

Posso dire che tra battute cariche di cattiveria, elfi animati e scatole di amazon parlanti (si, avete letto bene), situazioni a dir poco surreali come la parodia di "let it go" di Frozen trasformata -da parte della madre, ormai diventata esaurita a forza rivederlo per l'ennesima volta con il figlio- nella canzone sul farmaco "Lexapro" e molto altro; il messaggio finale di questa prima (e ultima) stagione mi è piaciuto parecchio.
Non farò spoiler, anche perché su questo blog non ne troverete mai almeno da parte mia, ma mi ha fatto capire che, nonostante tutte le avversità e i progetti che abbiamo in mente nelle nostre vite (a prescindere dalla decisione che prenderemo),  siamo tutti complessivamente "Piuttosto felici" (una traduzione stiracchiata del titolo della serie).

Proprio perché, trovando la forza necessaria, riusciamo a riderci su.  Anche nei momenti peggiori.

A volte con un po' di cinismo, che non guasta mai.










domenica 25 agosto 2019

"(Non) sto alla larga da Riverdale!" (Jughead Vol.1, di Chip Zdarsky & Erica Henderson)





I più attenti di voi avranno sicuramente notato che, tra libri che sto leggendo, qualche giorno fa era comparsa la copertina di questa graphic novel. Ovviamente la durata della lettura è stata breve (quanto la comparsa nel blog), non per giocarmi la classica frase "capirai...i fumetti si leggono in poco tempo". Quanto per la storia e di come mi aveva incredibilmente rapito, per tante ragioni e ovviamente tante risate e citazioni non troppo velate.

Il mio interesse per l'universo "Riverdale & Archie", a parte la serie tv in onda penso su netflix che non guardo perché...si sa: Ho gusti strani per le serie tv; è nata nel lontano 1988, quando avevo quattro anni e su Italia Uno nel palinsesto c'era (per noi nostalgici) "Zero in condotta", serie animata tratta appunto dai fumetti "Archie".
Col passare degli anni, durante il mio classico caffè del sabato mattina al bar, sfogliando le recensioni della rivista sportweek mi cade l'occhio su quella dedicata al primo volume della nuova collana "Archie". Inutile dire che è stato amore a prima vista, visto che qua a casa ho al momento i primi due volumi su cinque.
A incuriosirmi però, la stessa casa editrice ha nella collana i volumi dedicati ad uno dei personaggi più eccentrici della serie: Jughead, appunto.




Al resto, come sempre, ci ha pensato ibs.it.



In questo volume Jughead cerca di salvare la scuola dalle strane idee del nuovo preside, ovviamente il tutto tra un hamburger e l'altro come suo solito.
La cosa che più mi ha colpito sono i vari film mentali presenti tra i capitoli, quando il personaggio in questione sviene o come spesso accade si addormenta in punizione: Proietta nella sua mente scene cinematografiche dove lui è protagonista, ovviamente.
Questo piccolo dettaglio mi ha spinto a scrivere il post, proprio perché come accade anche nel film "I sogni segreti di Walter Mitty", soffro dello stesso problema. Se così si può chiamare.
Come scritto in qualche post precedente, da studente ero molto anonimo e stavo sulle mie, anche se nella mia mente m'immaginavo come uno dei classici protagonisti dei teen movie di quel periodo ("Road Trip", "Giovani, pazzi e svitati" e "100 ragazze" per citarne alcuni). Le avversità o alcune situazioni le affrontavo in un mondo parallelo. Dove tiravo fuori le palle e riuscivo a impormi in quella che era una gerarchia non scritta e come nella giungla "vige la legge del più forte (o del più carismatico)".
Peccato poi che una volta "ritornato nel mondo reale" ero il classico Sig. Nessuno, con le cuffiette e la musica a pieno volume.

A distanza di anni posso dire che questo "vizio" è ancora presente in me: Sul posto di lavoro come nella vita di tutti i giorni m'immagino affrontare determinate situazioni come un mozzafiatante eroe dei film d'azione (o, se sono d'umore nero, faccio fare a determinate persone una brutta fine, in pieno stile Quentin Tarantino per capirci).
Ovviamente non ci sono solo situazioni negative: come spesso accade, complice anche una presunta nostalgia musicale, se nella playlist c'e una canzone che ha quel "non so che"  riesco a immaginarmi di nuovo con il basso in mano, da bravo frontman a coinvolgere il pubblico presente nell'ipotetica sala concerti.
Per non parlare delle mie (tristi) battute che, quando le penso in macchina -ridendo pure da solo per quanto mi fanno ridere-, una volta che prendo confidenza con persone complici mi lascio andare...il più delle volte con risultati penosi. Questo perché ognuno ha un senso dell'umorismo diverso.
In tutta onestà questa caratteristica che accomuna me, Junghead e Walter Mitty non è negativa: Proiettare una situazione parallela, anche se surreale, con la dovuta mentalità e lucidità può essere uno stimolo sia a livello carismatico che di fiducia in se stessi: ovviamente se qualcosa nella vita va male, di certo non mi metto a fare una sparatoria degna di Django (con la canzone di Tupac in sottofondo), ma riesco in questo modo a scaricare tutta la tensione necessaria e affrontare il problema con la giusta logica e appunto, con una lucidità impeccabile. Mantenendo una calma a dir poco invidiabile, anche se da toro quale sono...non è sempre facile contare fino a dieci. (Chi è del mio stesso segno zodiacale sa di cosa parlo).

Tra le tante "genialate" presenti nel primo volume, per citarne alcune, c'è il frame "Game of Jones", dove Jughead in questa proiezione deve salvare il regno non per avere la mano della principessa ma per...un vassoio dei migliori fireburger. Oppure l'easter egg degli autori, dove tra i nomi della petizione di Betty ci sono le loro firme. (le altre non le nomino, compratevi il volume!).

E' vero: Bisogna restare sempre con i piedi per terra ed essere sempre razionali. Ma come dico sempre "Sognare ad occhi aperti è gratis e terapeutico, il più delle volte". Lo dicono anche i Persiana Jones nella loro canzone "Ore e giorni":

"Con la mente posso avere tutto quello che non so
tutto quello che non ho visto mai
posso andare via di qua e sognare posti che
io di certo non vedrò stando qua"

E voi? Avete letto queste nuove graphic novel o siete ancora legati alla serie animata/telefilm?












lunedì 12 agosto 2019

"La nazionale di basket siamo (anche) noi." (cit. La giornata tipo)




In questi giorni d'Agosto, complice anche il lavoro frenetico di commesso in un supermercato in questo periodo, il tempo per dedicarmi al blog è ridotto. (Soprattutto se sono reduce dalle due settimane di ferie estive e la mia più classica delle "sessioni di flebo" in mezzo).

Ciò non toglie che accumulo idee e bozze su bozze per eventuali post futuri e non. Complici i vari libri che leggo o leggerò ed eventi ricorrenti e futuri. Più che bozze sembrano pezzi di un puzzle che, messi assieme, formano non solo le mie riflessioni che danno titolo al blog. Ma anche la mia personalità, un variopinto biglietto da visita.
Tra i tanti eventi c'è per esempio il mondiale di basket in Cina, da sabato 31 Agosto a domenica 15 Settembre e una passione sempre presente per questo sport. Una delle mie ragioni di vita, parafrasando Homer Simpson e la birra.

Dire che sono nato con la palla da basket in mano, come direbbero i più esaltati, è sbagliato. E' vero, assieme a tre compagni delle elementari avevo praticato minibasket durante la prima elementare, ma di quel periodo ricordo obiettivamente poco, se non le girelle mangiate durante il tragitto e la cura nel preparare il borsone per le partite (rituale pignolo e scaramantico portato pure in età adulta): in quel periodo come spesso accade avevo provato nuoto e anche calcio. Poi, fino al 1995 numerose medaglie di tuffo acrobatico sul divano.
Qualcosa, poi,  è cambiato.
Già, L'estate di quell'anno l'avevo trascorsa dai parenti in provincia di Torino. I due cugini più grandi di me mi portarono ai campetti chiedendomi se volevo giocare a basket. In cuor mio sentivo che quella palla a spicchi mi chiamava, pari pari alle sirene con Ulisse. Il resto è il più classico dei circoli viziosi: Inizio le medie in una scuola nuova dove ci sono anche i campetti di basket (e non venivano utilizzati per altre partite di calcio) e scopro il magico mondo dell'NBA e della Legabasket. Letteralmente un "uomo nel pallone", citando i Matrioska e una loro canzone che tanto adoro.
Ricordo ancora quando avevo scoperto NBA Action su Koper/Capodistria quel Lunedì sera.
Sorrido perché ironia della sorte il video realizzato dalla giornata tipo inizia citando proprio il classico canestro appeso in camera e il "Not in my house" con ditone di Dikembe Mutombo: Beh, cambiando canale avevo trovato proprio il programma già iniziato con un focus sul centro congolese degli Atlanta Hawks (in quel periodo).
Ero talmente su di giri che in camera tiravo da tutte le posizioni possibili, ripetendo i commenti e i nomi visti nel curtside Countdown elencati dal grande giornalista e telecronista sportivo Sergio Tavčar.
Il 4 Maggio del 1996 poi avevo chiesto una cosa sola per il compleanno, anzi due: Palla da basket e canestro da mettere in giardino, anche perché mi allenavo nel terzo tempo tra le vigne di casa mia "schiacciando" sul tubo del pergolato con un vecchio pallone da calcio -Come un ragazzo nel video postato- (oppure di sottomano con una triste cassetta in legno di patate bucata appositamente e fissata alla "bene e meglio" sul vecchio tubo dell'altalena sotto il caco). Da quel giorno per molti anni successivi, per la gioia dei vicini ero un continuo palleggiare e recuperare la palla nei vari giardini oltre la rete. Aumentando il (facile) livello della pallacanestro praticata tra le mura di casa con amici e centrando tiri impossibili alla Steph Curry: da "dietro l'abete" (come distanza), dal marciapiede delle suore (vicine di casa in quel periodo), l'alley oop per il ramo di fico che la buttava dentro e molte altre soluzioni degne degli Harlem Globetrotters e molto altro ancora.
Stava diventando tutto troppo facile e come detto in altri post volevo alzare l'asticella, difatti così mi sono iscritto nella squadra di basket del paese vicino. Grande società, grande squadra.
Proiettato in un'altra realtà, quella agonistica, ma con un grande cuore e tanta passione, sono riuscito a ritagliarmi molti minuti nel secondo anno: 1998/1999. Non sono mai stato una guardia tiratrice, ma amavo il confronto con gli altri compagni e avversari della zona.
La mia fortuna è stata avere un coach fondamentale come Marini, che era riuscito a sgrezzare alcuni miei difetti e a rendermi un buon difensore. Uno di quelli che "non segnerò venti punti a partita...ma ne devi mangiare di polenta, prima di riuscire a smarcarti dal sottoscritto" ( Argomento già trattato in uno dei miei primi post: " Wonderful losers: Vita (di tutti i giorni) da gregari").
Poi si sa, molti alti e bassi con (a mio dispiacere) cambi di allenatori poco complici con l'unità di squadra e una magia che si è evaporata col tempo. Anche perché gestire un branco di 15/16enni non è mai facile, figuratevi se un nuovo coach -non della zona- non ottiene risultati, fa giocare solo sei persone su 12 e dopo un po' getta la classica spugna: Il risultato? Noi della panca avevamo iniziato a dare picche per le convocazioni, complice anche il fatto che non ci considerava nemmeno per gli schemi, e gli allenamenti si trasformavano in partitelle anche di calcetto.
Ma a parte questa triste fine, sono tutt'ora legato ai colori di questa squadra, colori di un paese che mi ha dato tanto rispetto al mio comune (sempre più pettegolo e deludente): Oltre alla salute, visto i ricoveri in day hospital e attualmente il lavoro, in passato pure lo sport.

Ovviamente avevo ripreso a giocare in un'altra società agonistica, ma non è stata la stessa cosa. Troppe primedonne e allenatori che, anche li, non consideravano il mio impegno e le mie qualità difensive (dicesi "becero campanilismo tra comuni"). Tranne uno che, venendo da fuori, mi premiò aumentando il minutaggio in questa nuova avventura e facendomi pure partire titolare in una partita.
Quindi, tanto schiappa in fondo in fondo non ero.
Quello è stato il classico canto del cigno: Ormai 21enne e sempre citando le parole del video mi consideravo bravino per far parte dell'under 21 di qualche squadra. Ma quella società, per quanto fallimentare in quel periodo, non credeva nei giovani e ancora meno nel progetto dell'under 21.



Visto e considerato che senza basket non so stare, dio -o chi per lui- benedica i campetti.


Foto (fatta a tradimento) di repertorio del 2014: parafrasando futurama "più che un gancio-cielo sembra una mossa da soubrette"




I campetti da basket sono sempre stati il mio habitat naturale, alla fine. Aria aperta, tiri ignoranti alla Gianluca Basile e un mix di risate, cazzate e incazzature. Penso che di tutti questi periodi passati ai campetti i ricordi più belli sono tanti: In particolar modo due su tutti. Le partite con un mio amico di quel periodo (ed ex compagno di squadra di quell'ultima società) nell'estate del 2004: Partite e poi via a vedere le olimpiadi a casa sua con una pizza vicino e le urla, gli abbracci per la vittoria dell'argento dietro l'oro vinto dall'Argentina di Manu Ginobili e davanti al bronzo americano del Dream Team.
Il secondo la lunga estate del 2014 fino ai due anni successivi: Io e un mio caro amico avevamo ancora fame di basket. Avevamo creato un gruppo fittizio di amici e conoscenti a dir poco casinisti ma con voglia di fare e uniti da questo sport. Con ironia, visto che in NBA ci sono gli Hornets, i Bulls, i Raptors e via dicendo... ci chiamavamo "i Ghiottoni di Taipana (con sede a Gemona)". Perché proprio Taipana ancora non lo so, visto che nessuno era di quella zona. Ma suonava bene.
Oltretutto visto il cameratismo e la goliardia che si era creata col tempo oltre alla difesa avevo aggiunto un'arma in più, complice anche il film "Baseketball" scritto, diretto e interpretato da Trey Parker e Matt Stone -gli autori di South Park-. : La psycodifesa. Ovvero dire cazzate insostenibili per riuscire a distrarre l'avversario.
In questo caso però gli europei del 2015 li avevo visti in solitaria: Con le finestre aperte e il volume al massimo e la voce di Flavio Tranquillo che riecheggiava nella via, per una volta, alla faccia di alcuni fastidiosi vicini che per loro "azzurri" e "Italia" significa solo la nazionale maggiore di calcio (dimenticando non solo gli altri sport e competizioni, ma anche partite dell'under 21 e femminile) e puntualmente dettano legge ad ogni europeo o mondiale. Una seconda rivincita, la mia.
Visto che la prima è stata -in termini calcistici- quando l'Italia venne eliminata dall'Uruguay nel mondiale del 2014: la solita euforia non era presente, regnava il silenzio ma da buon provocatore quale sono era una ghiotta occasione per farmi odiare. Apro le finestre e con tutto il fiato che avevo mi affaccio e urlo, con invidiabile sarcasmo... "Che silenzio...come mai? Nessuno che urla forza azzurri? Ah già, l'Italia è uscita dai mondiali. Non fate casino oggi? Comunque ragazzi...forza Uruguay.".

Ora a 35 anni non gioco più. Almeno, la voglia c'e: Ogni mattina durante i miei 20 minuti di corsa sul tapis roulant prima di andare a lavoro, vedo vecchie partite motivazionali ricche di phatos -ultimamente, per esempio, il derby dello scorso anno tra Partizan e Stella Rossa-.
Le occasioni per riprendere sono, probabilmente, nell'aria: amici di amici che hanno giocato in passato con ragazzi che conosco, ex compagni di squadra che passano a fare la spesa e le infermiere che mi sopportano durante le flebo hanno figli o figlie che praticano questo sport.
Ma giustamente bisogna iniziare a fare i conti con altre priorità e nuovi aspetti che la vita ti pone davanti.

Mai dire mai nella vita. Soprattutto se il basket stesso dona così tante emozioni uguali e diverse a molte persone.

Come dice il video "questi ragazzi sono il nostro sogno realizzato".
Da bambino sognavo appunto,  tra le tante cose, una bella carriera cestistica fatta di tanti colori: Quelli locali, visto che come club sono sempre stato un tifoso di Udine (Snaidero prima e ora APU), Europa (la Union Olimpija Lubiana, le partite che vedevo su Capodistria e il loro modo di giocare riuscirono a ipnotizzarmi davanti la tv) e con moltissima fantasia l'NBA.
Sogni di un ragazzino di 12 anni, appunto. Ma che in testa aveva sempre quell'azzurro carico di ricordi e di storia. Azzurro che mi catturò negli anni '90, complice il mondiale in Grecia del 1998 e quella partita persa con il presunto "dream team" fatta con quella che fu chiamata "la sporca dozzina": una nazionale priva di stelle NBA ma che comunque arrivò a vincere il bronzo. Azzurro che mi fece saltare di gioia per l'europeo vinto a Parigi nel '99 e quell'amichevole a Colonia vinta contro gli americani, l'olimpiade finita sul podio con un meritato argento e via dicendo.

Sogno, anche per questo mondiale, una nazionale sulla carta outsider ma che in qualche modo riesce a tirare fuori qualche coniglio dal cilindro. Parlando con amici e gente che mastica questo sport, sento con frequenza la frase "la vedo durissima quest'anno!".
Perché non prendere esempio da quella sporca dozzina già citata? Certo, la nostra bandiera è tricolore, non stelle e strisce. Ma tutto può succedere.

Citando un loro slogan "io amo #italbasket , amatela anche voi".

Forza ragazzi!