venerdì 22 novembre 2019

Quanto può durare un momento?




Questo post è un paradosso mentale, il mio paradosso mentale. 




Tutto è iniziato una mattina, quando come spesso accade vige il silenzio tra le mura di casa e siamo solo io, la mia solita tazzina di caffè della Slovenja regalata da una cara amica durante un viaggio e il mio giardino, osservato dal salotto.
A volte buio, a volte sereno ma con una presenza costante di cui non posso farne a meno: uno stormo di uccelli che spesso non arriva alla decina. A volte sono cinciallegre, altre cinciarelle oppure passeri comuni e pettirossi. Per esempio qualche anno fa vedendo tutti questi cambiamenti, mi son messo a fotografare il giardino per notare come qualcosa che è quotidianamente sotto i nostri occhi, cambia costantemente (QUI il video, l'idea ovviamente l'ho presa vedendo il film "Smoke" da cui ho preso spunto e il dialogo). 
Il silenzio e queste immagini mattutine spesso sono "momenti" fondamentali, nella mia vita. Mi fanno sentire l'unica persona al mondo, "The last man on earth", e questo vale come una carta bianca su cui dipingere o fare qualsiasi cosa, riguardo una giornata che ancora non è nata. 
Ma non sempre va come ci aspettiamo. Soprattutto per chi, come me, ha la sindrome del "Bianconiglio di Alice" ed è troppo tardi per fare qualsiasi cosa. E la colpa, come spesso accade, la diamo ad una frase: 

"Hai un momento?" 

E qua si arriva al paradosso mentale. 
Perché si, questo post è presente nella mia mente da circa un paio di giorni. Ma non avevo mai un "momento" di tempo per mettermi seduto e scrivere quelle tre/quattro ore buone che ci vogliono per realizzarlo. Eppure momenti, nella vita quotidiana sono sempre presenti, quindi perché non li ho sfruttati, se li avevo? Fa molto "Paradosso del barbiere", in qualche modo e presa molto alla larga: "In un villaggio vi è un solo barbiere, un uomo ben sbarbato, che rade tutti e solo gli uomini del villaggio che non si radono da soli. Chi rade il barbiere?".
Tutto questo perché siamo vittime di distrazioni, a mio dire. Quante volte a lavoro capita a tutti noi di concentrarci su una determinata azione e sentirsi rivolgere questa domanda, perdendo magari il ritmo di lavoro/produzione (per chi è fissato come me) oppure quei momenti dove, quando si è concentrati da un film uno parla sopra e ti obbliga a mettere pausa quella decina di volte che un film di Jim Jarmush si affloscia trasformandosi, complice la disattenzione continua, in qualcosa come "Alle dame del castello piace fare solo quello". Arrivando alla conclusione di borbottare, schiacciare il tasto stop e rimandare la visione a data da destinarsi.
Probabilmente in questi e molti casi la colpa è in entrambi i casi, di chi interrompe per abitudine e svogliatezza di fare determinate mansioni e di chi, sicuramente, è incredibilmente severo e avido con se stesso, prima che con gli altri. Una versione intima ed egoista dei "signori grigi" di Momo, romanzo di Miachael Ende dove, invece di rubare il tempo, avidamente lo tengono per se in quanto prezioso.


Ma non sempre i momenti sanno essere negativi, ovviamente a prescindere dai vari punti di vista. Per esempio grazie ad alcune riprese effettuate in slow motion in questi giorni (e che posterò a fine video), gli amati uccellini -in quest'occasione cinciallegre e un pettirosso vanitoso- mi hanno donato istanti di pace. Dei secondi eterni rigeneranti.
O quei momenti da "Forrest Gump" che spesso mi contraddistinguono: Momenti ricchi d'ingenuità e comprensione di un momento. Vedere le cose per come sono in quell'istante e molte volte pure distorte, solitamente diverse dalla massa. Come un cappello oppure un boa che digeriva un elefante. Facendo riferimento a un libro, "Il piccolo principe", che mi ha accompagnato durante la mia infanzia e gentilmente regalato durante il mio periodo delle elementari da mia madre. 



Momenti simpaticamente contagiosi, come quando dopo averla accompagnata alla stazione per il suo recente viaggio a Fuerteventura le ho detto "Viste le foto scattate a tradimento e presenti nei nostri computer...impara da Barney della serie tv "How i meet your mother", mettendoti sempre in posa". Notando, tra le nostre risate, un meraviglioso sorriso di una giovane pendolare che ci affiancava. Probabilmente amante della serie.
 Senza andare troppo lontano quei primi attimi neanche tanto d'innamoramento, quanto di sguardi ricchi di complicità anche tra due estranei. Quel mix di sguardi e sorrisi che tra due sconosciuti durano probabilmente tre secondi d'orologio, ma che riescono a fermare il tempo ad uno (o una) dei due, pensandoci pure su di notte con il classico dei "e se".
Come dico sempre "la lista è lunga", ma sono uno che spesso vive di queste cose. Entrando in stand-by, guardando il vuoto o ciò che ne circonda e assaporando i sapori e le emozioni di quell'istante. Come poco fa, quando la mia vicina di casa aspettava il ritorno del pulmino della scuola dopo il giro nelle altre frazioni, per salutare suo nipote con enfasi, come faceva mio nonno più o meno nei miei cinque anni delle elementari.
Attimi di follia, come quando penso alle battute da dire agli amici e ritrovarmi a ridere da solo (che non so se è divertente o se fa preoccupare). Come ieri, dove pensavo alla frase da dire ad un mio amico dopo la consegna del suo regalo di compleanno: "L'idea è nata da un brainstorming dall'una di notte fino alle due, ascoltando a ripetizione "Pazza idea" e "Cuore matto" ". E la sua reazione non tanto alla battuta, quanto allo spacchettamento. Uno che come me ama tra le tante cose sia i videogiochi quanto i film e si ritrova una t-shirt con Renton (Trainspotting) che esce...dal tubo di un livello di Super Mario Bros! Avrà riso per un minuto e mezzo d'orologio, faticando a dire due parole quali "Grazie, ragazzi!" che a dirle, come avrete letto, si sta effettivamente...poco!



(Ammettetelo: State pensando "Mirko, regalami una t-shirt con miei interessi amalgamati insieme, come i tuoi post!)
Oltretutto...l'avevo detto in questo POST che amo spremere internet come fosse l'arancia più succosa per la spremuta mattutina. Insomma, vi avevo già avvertito!
O...come questo istante. Dove riprendo una bozza di qualche giorno fa, sedando il "Bianconiglio" in me presente manco fosse il soggetto della canzone "I wanna be sedated" dei Ramones. Sfrutto il tempo morto prima d'iniziare un turno lavorativo e mi lascio trasportare dal ticchettio delle mie dita sui tasti della tastiera. Con una playlist adatta alla situazione che, per chi è al pc può trovare qua a lato oppure in alternativa cliccando "QUI".


In attesa dei vostri momenti indimenticabili positivi o negativi (e non parlo di cose prevedibili quali "matrimoni", "primi baci con compagni / compagne", la lettura veloce di un messaggio fraintendendo il significato e simili...per farvi un esempio e, anche se virgolettato è tutto vero:"la prima volta che ho assaggiato il mango in vita mia: Ricordo con esattezza la festa di sapori presente nella mia bocca in quell'istante e come dico sempre, l'invito l'ho ricevuto all'ultimo momento perché non ho facebook"), vi giro i due video citati nel post. Video in slow-motion. Dove sono riuscito a "rallentare" brevi momenti di due meravigliosi ospiti colorati e ammirare la loro bellezza, i loro colori e il loro sbattere d'ali.








Trasformando così un istante in un lungo "loop" che si ripete. 















mercoledì 20 novembre 2019

Post/Tutorial: Come si diventa "Joker"? Il punto di vista della cavia umana. 🃏




Piccola introduzione: Non ho ancora visto il film di Todd Phillips, tantomeno è una fan-fiction. Questa è solo un insieme di idee e riflessioni associate al sottoscritto nate durante una giornata lavorativa, complice anche il post riguardante Batman che ha lasciato in sospeso l'argomento Villains (gli antagonisti).
Inizialmente volevo centrare quest'argomento sui miei preferiti di sempre, ovvero lo Spauracchio/Scarecrow e L'enigmista. Citando il commento di Moz "Batman ha una trama profonda. E nelle pieghe delle metafore che racconta (con Robin, Joker e Catwoman) ci si può ritrovare", volevo riprendere proprio da qui. Esternando il "Joker" che c'è in me.  Perché è risaputo: Non c'e cattivo più cattivo di un buono, quando diventa cattivo. E anche io, se mi metto so essere "pericoloso", nei miei momenti di follia. Follia a tratti ingestibile per incomprensioni o semplicemente buona, quando mi prende "l'ora del matto" e inizio il mio classico freak show da cabarettista fatto di scherzi e battute degne di Jack Napier ( o Arthur Fleck, per chi di voi ha visto il film del 2019)
Una sorta di "Yin e yang" presenti in tutti noi, qualunque cosa ha il suo opposto. Come i miei sbalzi d'umore noti a molti. 


La cosa buffa, restando in tema clownesco, è che tutte queste idee sono partite da un gioco di riflessi a lavoro. La mia lunghezza di capelli sempre più ingestibile e pettinati "tirandoli indietro" proprio come il protagonista di questo post mi ha subito acceso la classica lampadina come punto d'inizio o meglio: La mia mente aveva già realizzato il post e questo folle progetto ai danni non di Batman, ma di voi che lo leggerete (e osserverete i video postati passo passo). Ed è stato praticamente pianificato mentalmente in poco tempo, giocando ovviamente con la mia passione cinematografica. 
Guardandomi serio, per un breve istante e se vogliamo perplesso sul pensiero "le pause caffè le faccio sempre da solo". 
E' vero, sono uno dalla battuta pronta. Ma quando c'e da lavorare in me è presente quel broncio riflessivo che mi porto appresso fin da bambino e sempre presente nelle prime foto. Non da persona incazzata col mondo, sia chiaro, ma vigile e metodica sulle varie mansioni che devo fare nel corso del turno. Il tutto ovviamente in silenzio con i miei pensieri. Col tempo sono riuscito a smussare questo mio difetto, per correggerlo ancora ce ne vuole. Ma si sa, quando si lavora a contatto col pubblico, soprattutto in passato mi son sentito dire appunto "Sorridi un po' ", con il desiderio, citando il trailer parodistico qua sotto, di rispondere "Chiedimi perché sei così serio". 






 Ma nonostante tutto, visto che in comune con Giovanni Storti tendo ad avere un indole da "bastardo e pignolo" (si, se ve lo chiedete mi preoccupo anche per l'euro nel carrello), posso dire che la mia pignoleria assieme alla mia già citata etica lavorativa mi permette di lavorare bene. Seguendo schemi e ordini ben precisi dettati dalla mia mente, come un calmante. Paradossalmente parlando i miei turni di lavoro sono le mie ferie, perché non c'e nulla di terapeutico che seguire una tempistica nel caricare determinati prodotti e se avanza tempo "mostrare bene l'etichetta". Una pignoleria che nei primi giorni di lavoro quando ero ancora in prova, aveva lasciato di stucco il mio tutore in quell'occasione. Evito l'espressione colorita che aveva detto guardando una corsia maledettamente in ordine, in quanto siamo friulani e spesso le nostre punteggiature o intercalari sono imprecazioni. In quel preciso momento avevo capito che il mio essere puntiglioso poteva giocarmi a favore, per una volta. Insomma, citando un noto personaggio di un film "ci stavo come un pesce dentro l'acqua". 
Non sempre però le fissazioni portano a buon fine, sia chiaro, non sono un malato compulsivo cronico. Tutti abbiamo alcune fisse, chi più chi meno (Fatemi sentire meno solo, le vostre quali sono?). 
Per ogni "Batman" presente in me che ripiega con cura un vestito di lavoro come il suo costume, c'è un Joker disordinato. Un disordine ordinato, più che altro, per spezzare la routine. Per non parlare della tovaglia messa perfettamente su determinati angoli, dvd messi in ordine cromatico, libri dal più grande al più piccolo e cd in ordine rigorosamente alfabetico (Anche se i Pagoda dell'attore/cantante Michael Pitt ora inspiegabilmente stanno tra i Faith no More e la colonna sonora del già citato prima Forrest Gump...anzi, erano). 
Ovviamente sono piccoli dettagli che, se accentuati e accumulati (ad altri punti spiegati qua sotto) danno carta bianca al mio lato casinista e rancoroso, alimentando il villain che è in me e che per logica tengo buono con immaginarie dosi di mescalina. O, per togliere quell'espressione perplessa dalle vostre facce dopo la frase che avete appena letto... "lo tengo in catene", come Lisa Simpson tiene in catene la sua versione casinista. Meglio?
Sta di fatto che sono piccoli dettagli che abbiamo tutti e non fate finta di niente: Per esempio, pensavo di essere il solo a casa a odiare, che dico, perdere la pazienza nel vedere quei cucchiaini da caffè perché sono...troppo piccoli. Con molta ironia chiedo sempre un cucchiaino "da maschio", creando risate in tavola. Scoprendo poi che effettivamente anche mia madre non li sopporta ma "si porta pazienza", visto che quelli che ci hanno accompagnato da sempre in questi anni a casa sono magicamente spariti.
Almeno non arrivo (ancora) ai livelli di Howard Hughes, qua magistralmente interpretato da Leonardo Di Caprio nel film "The Aviator".

Il passo successivo sono alcuni momenti di solitudine. Quando la giornata sta per finire e hai bisogno di stare con te stesso. Ci sono tanti interessi pronti a distrarti, quali la lettura, le partite NBA (ora che è ricominciato il campionato) e di conseguenza il fantabasket. I film, il basso o il blog stesso, per non parlare dei momenti in modalità orso in letargo.
Ma quando non riesco a fare tutte queste determinate cose inizio a chiedermi "Perché", creando i peggio pensieri che il proprio ego può far nascere nelle nostre menti. Per quanto può sembrare duro accettare questa realtà, è presente in tutti i noi. Scrivere (o leggere, nel vostro caso) la classica frase "chi me l'ha fatto fare", che è presente in noi come un parassita, è doloroso come un pugno in faccia che nessuno si aspettava. Duro a scriverlo, duro ad ammetterlo una volta che avrete finito di leggere e vi ritroverete da soli con i vostri pensieri. Knockout generale.

Pensieri pressapoco simili a questi. Già. (Tratto dal film "revolver")



La fase finale è l'accumulo di tutte queste piccole cose. Passo passo. A rendere il tutto più difficile e per molti pure divertente, visto che si parla di Joker e come spesso accade sono noto ad avere mimiche facciali buffe, quando m'arrabbio (Da fare invidia a Frank "Faccetta buffa" Drebin della saga "una pallottola spuntata", con cui in passato condividevo questo soprannome); è il fatto che sono di segno zodiacale del toro. Insomma: una pentola a pressione notoriamente pronta ad esplodere dopo aver accumulato per giorni rancore.
Morale della favola, qual'è la reazione finale, per una persona notoriamente calma e dalla battuta pronta? La parola ad un altro Frank: L'alter ego di Charlie in "Io, me & Irene".




Il tutto, magari, canticchiando (o suonando nel mio caso) "The Joker" della Steve Miller Band, con una faccia ironica e provocatoria mentre faccio, tra i fischi ricevuti manco fossi Tony Clifton, la mia uscita di scena...



"...'Cause I'm a picker
I'm a grinner 

I'm a lover and i'm a sinner
I play my music in the sun

I'm a Joker,
i'm a smoker
i'm a midnight toker
i get my lovin' on run..."



(Adesso però fuori gli altarini, non tirate il sasso e nascondete la mano: Quali sono i momenti "in crescendo" di una vostra giornata che danno vita al "Joker" presente in voi, rendendovi così dei "buonisti col mitra"?)







martedì 12 novembre 2019

"Gioco come sono", di Luigi Datome con Francesco Carotti



Caro Gigi

Ho letto il tuo libro e pensavo di "recensirlo" così sul mio blog, come una lettera scritta dal più classico degli ammiratori sportivi al suo beniamino. Una lettera/post che difficilmente leggerai perché non ho i social noti a tutti che mi permettono di condividerla, ma la fantasia e la creatività sono validi alleati. 
Innanzitutto ti rassicuro: non sono uno dei tanti mitomani da te descritti. Nel mio piccolo, da 35enne, ho avuto dei brevi momenti di gloria emozionanti come tutti gli amanti del nostro sport, quindi so la fatica e il sacrificio che hai messo nel tuo percorso lavorativo per ottenere risultati nonostante la diversità delle prospettive, anche se mi sono fermato alla categoria under 21 provinciale giocando in squadre locali, scaldando panchine e sbucciandomi ginocchia per ogni palla recuperata, da buon gregario. 

Posso dire con piacere che sto parlando bene a vari amici e conoscenti delle parole da te usate nel raccontare la tua storia, spero che questo passaparola li porta ad acquistare il tuo libro o al limite chiedermelo in prestito, anche per l'enfasi che metto nel descriverlo che è pari a quella di Flavio Tranquillo durante le telecronache della nazionale da te capitanata. Questo perché ne parlo non solo ad amici che masticano qualcosa di pallacanestro, ma anche ai vari lettori che, come noi, divorano libri su libri e ammirano questa tua passione. A proposito, grazie per la recensione su Caino di Saramago scoperta "abusivamente" su instagram -visto che non sono iscritto-. Se non era per te non lo scoprivo.
Persone con valori come i tuoi se ne incontrano raramente e come spesso accade quando leggo, ho rivisto nelle tue avventure qualcuno che in qualche modo conosco fin troppo bene: il mio capitano nei tre anni fatti nella squadra che, con alti e bassi, mi aveva svezzato dai tiri fatti al campetto coi cugini e che, destino vuole, aveva ed ha tutt'ora gli stessi colori del tuo Fenerbahçe. Non solo capitano, ma un ragazzino (ai tempi) cresciuto assieme a me ed era pure mio vicino di banco alle elementari. In quel periodo vedevo la pallacanestro come da te descritta nei tuoi 15 anni: Il mio poster in camera non era di Allen Iverson ma una convocazione di All Star che partivano dai Bulls di Jordan arrivando a dei giovani Kevin Garnett ai tempi di Minnesota o delle meteore come Shareef Abdul Rahim. Il tuo idolo per me era come punto di riferimento riguardo l'altezza, visto che ripetevo continuamente "Almeno arrivare a 1.83 come "The Answer" ", fermandomi poi miseramente a 1.76.
Sarò sempre grato al "capitano" Enrico perché come te aveva una leadership innata. Io ero solo un malato di NBA e LegaBasket (quando il "pando" Bonora e "La mosca atomica" Pozzecco si scontravano per lo scudetto). La lavata di capo che mi faceva puntualmente mi riportava alla realtà giocata e non immaginata, anche se per me la pallacanestro era evasione dall'anonimato. Nei periodi scolastici ero il Sig. Nessuno, ma quando giocavo e indossavo la mia canotta col 18 mi sentivo bene, come Superman col mantellino, a prescindere dal minutaggio. 
Il poster della nazionale, come quello della Snaidero Udine, era sempre presente. Leggendo tra le righe del tuo libro, quella del mio poster era la nazionale medagliata "Più forte di sempre", come la chiami tu. Con questo non voglio dire che quella attuale fa pietà, tutt'altro. A parole tue "Ad oggi ogni nazione ha un giocatore che milita nell'NBA" e credimi che si, mi mangio le mani se perdete una partita, ma mi limito tra me e me a battute sarcastiche e finisce li, ricordando le mie piccole sconfitte e di quando potevo toccare il cielo con un dito. La cosa che mi rattrista, a detta della pallacanestro italiana, è ovviamente il minutaggio degli italiani in un campionato dove gli americani spesso vengono presi dalla G-League, e tu sai dove voglio arrivare visto che l'hai scritto. Vedo comunque nuovi prospetti qua e la e sono comunque molto positivo per il futuro azzurro. Da qualche parte il feedback deve pur arrivare, non trovi?
Oltretutto tra i tanti ricordi associati alla nazionale, probabilmente quello più bello è quando vi ho visti a Trieste nel quadrangolare del quattro Agosto del 2014. Parafrasando le tue parole, quando hai la mano sul petto, vestendo l'azzurro e senti l'inno l'emozione provata è incredibile. Posso dire altrettanto da tifoso. Vi vedevo fare il riscaldamento, notavo dall'altra parte un Mirza Teletovic a caso che parlava italiano meglio di me con alcune persone del pubblico e, durante la partita contro il Canada, i due canadesi (tra i tanti convocati) Sacre e il tuo ex compagno Kelly Olynyk che davano un simpatico siparietto ma per le espressioni facciali. Usando le tue parole "Vestire l'azzurro è il sogno di tutti i bambini che si affacciano nel mondo della pallacanestro (e anche degli altri sport)", Chi si è perso per strada come il sottoscritto vede in voi giocatori di puro talento il sogno mai realizzato e vi dona il tifo più caldo...o esagitato. Anche se nel mio caso mi sono calmato nel corso degli anni, per la gioia di chi di solito si siede vicino a me.


Il capitolo da te scritto, "Itaca", dedicato alla tua Sardegna, mi ha aperto gli occhi su tante cose in generale.
Innanzitutto ho notato come voi sardi e noi friulani siamo caratterialmente simili. Testardi, orgogliosi della propria terra e dediti al lavoro, concentrati. Ma una volta rotto il ghiaccio con le persone o gli sconosciuti siamo tutti amici di tutti. Lo so per certo perché nel mio comune c'e una comunità sarda molto elevata. Una similitudine, quella tra Sardegna e Friuli, che noti sicuramente durante manifestazioni internazionali vestendo l'azzurro: Mi ha donato un meraviglioso sorriso vedere la bandiera del Friuli vicino a quella della tua regione durante il mondiale in Cina. Due bandiere identitarie che tu e Dada Pascolo, anche se non era tra i convocati, riconoscete molto bene ovunque andate. La cosa buffa, se vogliamo, è che penso di essere uno dei pochi friulani che non ha con se la bandiera che lo rappresenta (eresia!), in compenso magicamente ho trovato in camera mia una bandiera dei quattro mori, sicuramente donata da qualche amico di famiglia a mio padre che, disordinato com'è, ha pensato di regalarmela senza mancare di rispetto a tutti voi piuttosto di perderla.
Tu l'hai chiamata "Itaca", io la chiamo "Alaska", ripreso ovviamente ripreso da "Nelle terre estreme". Perché dopo alcuni viaggi, come te (e come Alexander Supertramp in questo caso), la pace la riesco a ritrovare nel bel mezzo del verde che mi circonda. Evadere da questa società malata, come la chiamava Alexander Supertramp...

"Alaska Alaska.
Dritto, sparato lassù nel mezzo...nel bel mezzo, cazzo. Solo io e basta, cioè senza, senza un cazzo di orologio, niente mappa...niente accetta, capisci? Stare semplicemente la in mezzo fra le montagne, i fiumi, il cielo." (Parafrasando un monologo tratto dal film "Into the wild")
Leggendo libri circondato dalla natura e scoprire poco per volta posti nuovi nelle vicinanze che aspettano solo di essere ammirati. Anche se a differenza tua non ho instagram per fotografarli e condividerli. 
Spero un giorno di poter visitare la tua meravigliosa "Itaca", come la chiami tu e chissà, integrarmi in questa realtà non tanto diversa dalla mia, se non per l'elemento naturale.



Ce ne sono di cose di parlare, in queste tue 254 pagine...lascio per ultimo questi due punti a mio dire fondamentali:

Spesso hai menzionato lacrime e allenatori: Per un percorso come quello dell'under 21 azzurra che stava per finire o per l'approccio iniziale che hai avuto con la nazionale in giovane età (o quella sera a Detroit da solo con il Cointreau, anche se le lacrime non c'erano).
Ricordo le mie, era l'ultima partita di playoff categoria allievi ( o forse ragazzi?) del 1998. Eravamo in sei, mi son detto "Cazzo, se non mi fa giocare oggi...". Morale della favola aveva chiamato per forza di cose un '85 per avere un po' di polmoni in più. Avevamo perso, io (anche se ero ancora acerbo su certi aspetti), non avevo giocato e non avevo potuto aiutare i miei compagni di squadra al passaggio del turno. Di fronte a me in spogliatoio un mio caro compagno piangeva per la sconfitta. Le mie, di lacrime, le avevo versate per chi non credeva in me. Volevo già alzare bandiera bianca e salutare prematuramente quello che poi col passare degli anni era diventato un gruppo di persone a cui ho voluto e vorrò sempre bene.
A distanza di anni e di tanto odio provato per quel coach, posso solo dirgli grazie. Perché avevo passato l'estate a lavorare sui fondamentali imprecando con una sete di rivincita da fare invidia a molti, non ero un "caschetto biondo che non smetteva mai di palleggiare" citando il tuo ex compagno di squadra Andrea Pecile, ma capelli a parte...poco ci mancava: Il pallone da basket era sempre con me e, come spesso accade, citando un noto slogan di un brand a te conosciuto (visto le tue scarpe gialle) "Impossible is Nothing". Così come il cambio di coach, quella stessa estate, che mi aveva dato il giusto valore fin dalla prima partita .
"Potevo restare li ad amareggiarmi, invece mi sono allenato e allenato. Quando nessuno crede in te, qualunque cosa che fai è positiva", diceva Gilbert Arenas. La lezione l'avevo imparata prima del tuo libro ovviamente (era l'estate del 1998), ma l'insegnamento morale da te ricevuto per quell'occasione passata l'ho imparato solo dopo averlo chiuso una volta finito.

La seconda cosa è che come te, suono anche io (il basso, però). Ci sentiamo sempre dire la solita frase "Mi suoni qualcosa?" e anche qui ti ringrazio per l'empatia trasmessa...



...Serve aggiungere altro?

Non posso far altro che ringraziarti, continuare a consigliare il libro alle persone a me vicine (o a quelle che leggeranno questo post) e consigliarti a mia volta "L'inquietudine delle isole" di Silvia Ugolotti. Vale come l'abbraccio di un tifoso nostalgico d'altri tempi, lontano da selfie e momenti da mitomane. Come quel bambino che ti salutava durante l'allenamento del Fener (Bahçe! ...olè!)

Citando sempre Pecile... "Stai sereno...sempre...!"

Mirko











mercoledì 6 novembre 2019

Siamo tutti Caino. ("Caino", di Josè Saramago)


Quando si dice "Il libro giusto al momento giusto. L'insieme di coincidenze e pensieri combacia tutto alla perfezione, forse anche troppo per realizzare un post che, nella mia mente, è già stato scritto creando così la difficoltà di mettere realmente per iscritto ciò che viene proiettato da quando ho finito l'opera del premio Nobel per la letteratura nel 1998. 

Piccola premessa: Ho sempre bistrattato la religione sul blog, anche perché io e lei siamo su due pianeti diversi ma non troppo distanti tra loro come a primo impatto sembra. Come tutti, sono stato battezzato e cresciuto secondo uno schema imposto dalla società e dalla cultura in cui siamo cresciuti. Il lato positivo, nonostante questa diffidenza, è che gli anni passati a catechismo o alle lezioni di religione alle elementari/medie, sono stati comunque utili per comprendere queste storie e conoscere i vari personaggi della Bibbia. Non bisogna mai dare niente per scontato. Oltretutto questo piccolo punto a mio favore mi permette, come spesso accade, di comprendere battute di satira religiosa (o farle "al vetriolo", stando attento a chi ho davanti) dette da vari comici, oppure film quali "Brian di Nazareth", "Il senso della vita", "La pazza storia del mondo Vol.1", "Il Pap'occhio " e molti altri. Stesso discorso anche per i libri da me in possesso o, come spesso accade, battute e riferimenti fatti cartoni animati o serie tv. Insomma: Se devo ridere per una battuta, devo giustamente capirla. Non come Homer Simpson che si limita al più classico dei "Deh-ih-oh...mulo", dimenticando il resto.
                                                     





La storia di Caino e Abele la conosciamo tutti, questa versione rivisitata merita, se non l'avete letta, attenzione e curiosità: Ricca di fraintendimenti, con un Caino riflessivo e un Dio capriccioso, malvagio. Che non sa cosa vuole e che non ama gli uomini, rifiutando per capriccio il sacrificio di Caino, causando così l'assassinio di Abele da parte del protagonista. Per punizione, invece di essere ucciso a sua volta, Caino si ritrova come viandante "avventuriero" viaggiando attraverso il tempo nei vari episodi dell'Antico Testamento. Un po' come spettatore, un po' da protagonista. 


E qui iniziano le "mie" coincidenze e riferimenti, perché si sa, la mia mente non sta ferma un momento.

In questo periodo viaggio sempre in macchina con l'album di Nitro "Danger", del 2013. Uno dei miei album preferiti soprattutto per i testi che, come spesso accade, li sento sottopelle per esperienze vissute nel quotidiano, come tutti.
L'album inizia con la traccia "0" e il dialogo tratto dal film Crank, del 2006. Brano che a mio dire ha un suo perché, se associato a questo libro:

"Sono come Terminator!"
"Forse lo eri una volta, ma ormai sei stato rimpiazzato."
"Senti, io non capisco: Perché non mi hai fatto a pezzi quando ne hai avuto la possibilità?"

L'essere rimpiazzato da qualcuno dello stesso sangue (nel caso del libro, ovviamente), sentirsi emarginato perché, come accade, il raccolto dell'orto di Caino ottenuto con fatica e sudore non soddisfa Dio per il poco fumo che produce, vuoi anche per una corrente d'aria tutta a favore di Abele.
Chi di noi non ha provato questa sensazione? A parte ovviamente l'atto violento fatto poi da Caino. Tutti ci siamo passati. Pure io, anche se sono figlio unico.
Uno dei tanti esempi che mi torna alla mente, ritornando a quel periodo orribile chiamato "scuola media", è dovuto ad un compito di geometria in stile "art attack" che avevo realizzato alla bene e meglio e soprattutto da solo. Guadagnandomi risate e un voto insignificante quanto il professore. Da "Caino" qual'ero mi son chiesto: il tre me lo merito, certo... ma quanti degli altri studenti hanno realmente fatto da soli il proprio lavoro e quanti magari erano sul divano a cazzeggiare mentre i genitori erano pronti a parare il culo ai figli, facendo i compiti al posto loro? Soprattutto, quanto è attuale questa cosa nel 2019, dove i genitori protestano per un brutto voto mettendo a rischio la credibilità e il lavoro degli insegnanti garantendo ai figli un futuro da "ameba a vita autonoma", dove a tenerli in vita è la luminosità dello smartphone?
Personalmente, detta senza censure, a me non è mai fregato un cazzo di essere il primo della classe o di avere i voti migliori. La mia attitudine, da sempre, è quella di rimboccarmi le maniche e fare di testa mia quello che so fare. Dimostrare il mio valore e "dare valore" a quelle tipologie d'insegnanti che sapevano come prendermi. Saldi nel loro ruolo e zero favoritismi.   Se non studiavo, arrivavo a casa e senza filtri dicevo "Mamma, ho preso due". Se andava bene faveco lo stesso: "Ho preso sette". (Se leggi, mamma, sai che le cose andavano esattamente così). Ricevere un voto regalato era come rubare. Magari faceva anche comodo a fine anno, ma se un 4 diventava 6 "per grazia ricevuta", io cos'avevo imparato realmente di quella lezione?
D'altronde parlano chiaro anche le prime strofe della canzone:

"Questa è la rabbia che il primo non conosce mai per davvero
E che raccoglie il secondo, che si sente il numero zero
Se sei bravo per davvero alla gente gli rode
Ma se sei pericoloso mettono i bastoni fra le ruote"

Ed è così che il libro, effettivamente procede. Forse le troppe perplessità e riflessioni di Caino, chiedendosi viaggio dopo viaggio "che Dio è quello che predica amore e poi uccide innocenti e bambini, da Sodoma e Gomorra al diluvio universale." e via dicendo. Un po' come Lennon che aveva detto  "i Beatles sono più popolari di Gesù" e successivamente, nell'album Imagine, canta nella canzone omonima "Imagine all the people living life in peace (Immagina tutte le persone vivere la vita in pace)" e successivamente, qualche canzone dopo in "How did you sleep?" augurare la morte a Paul McCartney : "Those freaks was right when they said you was dead (Quegli strambi aveano ragione quando avevano detto che eri morto)". Coerenza a mille... Ecco perché non mi è mai piaciuto. Sempre preferito George Harrison.
D'altronde, anche nei componenti di una band ci sono figli e figliastri. Chi ruba la scena e chi spesso fa il lavoro sporco ma, come spesso accade, non viene calcolato. E se non sono i membri, molte volte sono i gruppi stessi a fare distinzioni gli uni con gli altri (i "The monkeees", purtroppo, ne sanno qualcosa ).


Da un'altra prospettiva si può vedere la classica richiesta di risposte da parte del credente medio, se vogliamo: "come può Dio farmi questo o quello?". Quando a mio dire, siamo noi gli artefici della nostra vita con le nostre decisioni anche involontarie. Questa cosa mi ha sempre fatto ridere. Trovo comico chi cerca risposte in qualcosa di astratto, invece di usare la logica: Se tutto ti va storto, babbeo, è colpa tua. D'altronde è risaputo anche nelle lezioni di fisica: "Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale o contraria": Rivolgersi a questa entità "onnipresente" con i più classici "perché ho perso il lavoro/mi ha tradito/capitano tutte a me"... io ti direi, invece di pregare,  "perché sei un pirla: lavori male/non presti attenzione a chi hai vicino/alza la testa e spegni il cellulare". E' facile scaricare le colpe a chi non è presente (in tutti i sensi) solo per sentirsi più leggeri con se stessi. Ma riguardo questo argomento, lascio la parola a Natalino Balasso.





Alla fine chi fa una vita "da Caino" come nel libro di Saramago, a mio dire, ha una vita molto più ricca. Leggere capitolo dopo capitolo del protagonista che vive esperienze future, viaggiando nel tempo, è pari all'esperienza di noi lettori. Perché, citando Umberto Eco "Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: La propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c'era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l'infinito...perché la lettura è un immortalità all'indietro".
Caino, in questo caso, c'era: Quando Abramo era pronto per sacrificare Isacco, quando ha visto tremila uomini morti solo perché Dio si era irritato per l'invenzione di un ipotetico rivale in figura di vitello, le mura di Gerico e di Giobbe, punito per una scommessa fatta con Satana.
Una vita più ricca perché nonostante tutti gli sbagli che commettiamo, impariamo (come insegna Rafiki a Simba nel link)  a correggerli o rifletterci su come sono andate le cose. Imparando a guardarci con gli occhi delle altre persone.
Durante i suoi viaggi, si presenta in vari nomi, prima di utilizzare la sua vera identità. Inutile dire che durante un dialogo letto, la mia mente ha proiettato questa scena tratta dal film "Dead man", di Jim Jarmusch.



Nessuno: "(...) vidi molte cose tristi, tornando alla terra della mia gente. Quando capirono chi ero, il racconto delle mie avventure li fece infuriare. Mi chiamarono Bugiardo, "Exaybachay"... colui che parla ad alta voce senza dire niente. Mi coprirono di ridicolo, la mia stessa gente. Mi costrinsero a vagare su questa terra da solo...io sono Nessuno." 
Caino in questo caso è "il re degli sconfitti, senza finire mai al tappeto". Il numero zero, nessuno. Parafrasando sempre la canzone di Nitro (e altri campionamenti presenti nella canzone).


Ma come canta Nitro (e chi la pensa come lui, tipo il sottoscritto e un noto giocatore di basket, Gilbert Arenas)  "...Ricorda che lo zero viene prima del numero uno".

sabato 2 novembre 2019

The good...Holden?



Qualche sera fa, in un totale stato di confusione mentale e privo di motivazioni per fare qualcosa, ho lanciato la classica "monetina mentale" alla Harvey Dent (anche perché non avevo forze, dopo l'intera giornata passata a lavoro): Film o libro? 

Ha vinto ovviamente "film", visto che l'idea di questo post era presente nell'aria da troppo tempo e mi ero ripromesso di non sfogliare le pagine di "Caino" di Josè Saramago. Altrimenti il giorno successivo in ospedale non avevo nulla di che leggere. O meglio, c'era, ma questo me lo sto letteralmente godendo pagina dopo pagina e come spesso accade in questi casi, voglio assaporarlo parola dopo parola. 

Ho messo su il dvd "The Good Girl", di Miguel Arteta. Un film ricco di sfumature con un gran cast: Jennifer Aniston (probabilmente l'unico film dove riesco a sopportarla... [#teamRoss] ), John C. Reilly, Jake Gyllenhaal e una fulminata Zooey Deschanel.
Come mai volevo scrivere un post riguardante questo film? Per un semplice motivo, il ruolo di Gyllenhaal. Un commesso di "nome" (non sulla carta) Holden, come il protagonista del noto libro di Salinger che si porta sempre dietro e in cui s'identifica, in quanto avido lettore con la passione per la scrittura. 




Ovviamente questi quattro punti sono gli unici in comune con il co-protagonista del film. Non ho manie depressive e...non faccio spoiler. 
Similitudini che, da sempre, mi lasciano a bocca aperta ogni volta che schiaccio il tasto play sul telecomando: Innanzitutto il lavoro. Come scritto nella descrizione (e come sanno anche i più vicini e "di passaggio" sul blog) faccio il commesso. Un lavoro che per quanto ha una sua routine prevedibile ma da non sottovalutare -parlo dell'attenzione alle date di scadenza, dare il resto giusto in cassa e ovviamente tenere d'occhio chi fa della canzone "Sosta" dei Punkreas uno stile di vita- [La cosa buffa è che con i Punkreas ci sono cresciuto e li adoro da sempre], dopo otto anni mi da l'opportunità di entrare in modalità multi-tasking e pensare, come spesso accade, a eventuali post, racconti o le solite battute che fanno ridere solo me. (Svelato il mistero del "Ma quando le pensi? Di notte?").
Ora non voglio entrare nel dettaglio o del clima che si respira nel mio punto vendita. Posso solo dire che a livello aziendale in questi otto anni riesco a trovare il giusto equilibrio e a dare il meglio di me, sia a livello fisico che conoscitivo, visto che praticamente ho la mappa del negozio stampata in testa. Ma non è tutto rosa e fiori, come in tutti i lavori ovviamente. Come faccio a fare vuoto nella mia mente e affrontare una giornata lavorativa? Più o meno come il protagonista. Mi troverete sempre all'interno della mia macchina intento a leggere. Isolato, lontano quando possibile da persone di qualsiasi forma e ruolo. Fare vuoto mentale e creare quel momento "zen" di assoluta pace che mi permette di rendere al meglio...anche se verrà frantumato dopo cinque minuti di servizio da clienti non troppo simpatici.
Non faccio "terra bruciata" spesso, sia chiaro. Come dico sempre, con determinate persone a me care a prescindere dal ruolo, condivido il bene e la gioia che provo nell'avere rapporti umani sani. Dove basta uno sguardo a volte per creare la giusta intesa lavorativa. Se non c'e la giusta alchimia tra me e altre persone preferisco lasciare scorrere e concentrarmi su quello che faccio o, se sono in pausa, sfogliare un libro appunto. Prendendo spunto da CapaRezza in un suo noto pezzo che mi perseguita da sempre, il clima con alcuni di loro è tipo " Studio in una classe di rissosi / Eccitati dai globuli rossi manco fossero Bela Lugosi / Tieni presente che sono commosso cerebralmente da gesti eccessivamente affettuosi". 
Trovo molto interessante, riprendendomi appunto al testo del "Capa", vedere come molti affrontano le giornate: Anche se in questo momento ho una confusione mentale che mi spinge a boicottare la colazione a casa per farla al bar, mi presento sempre quella mezz'ora prima sul posto di lavoro e come spesso accade...leggo. "Sei sempre che leggi, non so come fai", mi sento dire da chi magari parcheggia vicino e arriva in perfetto orario per timbrare il cartellino. Semplice, determinazione e costanza. D'altronde non serve  un giardino zen per trovare la pace lavorativa. Qualsiasi posto va bene per ricaricare le batterie ma molti, evidentemente, ancora non lo sanno o non l'hanno trovato. 



Il tutto prima di perdere la pazienza e seguire passo passo ciò che, ironicamente, racconta Jack Nicholson in un film. (Ovviamente scherzo).

Amo la lettura da sempre, è un dato di fatto ( a proposito, se siete iscritti contattatemi pure su GoodReads). Nel mondo che mi circonda sono veramente poche le persone che prendono in mano un libro e leggono. Fortuna che, chi lo fa, si mette d'impegno anche per chi si limita a sfogliare la gazzetta. Giusto stamattina ad avere conferma di ciò mi son sentito dire da una barista che conosco "Che bello, è così raro vedere una persona che legge al giorno d'oggi...bravo Mirko!".

Le altre cose in comune sono, ovviamente, l'alter ego (in questo caso il nome che utilizzo sul blog) e la passione per la scrittura.
"Holden" si ribattezza così per un distacco nei confronti della famiglia, lo si percepisce dalle scene e dal freddo rapporto tra loro (senza entrare troppo nei dettagli, rovinando il film). Nel mio caso "Miroslav" non va tanto lontano da Mirko, in quanto il secondo è ufficialmente il diminutivo del primo a insaputa dei miei.

Il distacco, come sanno in molti e scritto qua e la, lo prendo da quello che è il mio paese di residenza. Non sono "ufficialmente" di Udine come scritto. Ma in quanto utilizzo il blog come ipotetico social scrivendo riflessioni anche personali, cerco se possibile di prendere le distanze da chi per troppo tempo si è fatto i cazzi miei ai tempi di facebook, stampando foto a tradimento o altri numeri da circo. Questo mi porta, citando il post precedente, a indossare una maschera sul web (o forse toglierla svelando cose spesso personali?) o come spesso accade cogliere sfumature caratteriali dei vari protagonisti di un libro che leggo e farmele  mie, immedesimandomi in loro. Tant'è che, ora che sto leggendo Caino, non vi dico con che occhi vedo il mondo. Probabilmente distorto come il giovane Thomas Worther (il vero nome di "Holden"/Gyllenhaal) quando legge "Il giovane Holden", appunto.  O per dirlo con le parole di Justine/Aniston:




Fortunatamente, citando il titolo che ho dato al post con un gioco di parole, mi ritengo la versione "buona" del protagonista maschile. Come cantavano i miei amati Nirvana, ai tempi d'oro su Rai Tre "Teenage agnst has paid off well / now i'm bored and old" (la rabbia adolescenziale ha pagato bene / ora sono annoiato e "vecchio"). Oltretutto devo dire che questa canzone, "Serve the servants" (una delle mie preferite tra l'altro), si sposa benissimo con Holden e...con me, in tutta questa confusione mentale citata all'inizio.


Se vi capita guardatelo. E' il classico film americano ambientato in quei paesini dove regna un clima grigio e di malessere stantio, un film che mi ha riportato (come luogo e abitanti), tra le pagine di un libro letto qualche anno fa: Shotgun Lovesongs di Nickolas Butler -consigliato dal sottoscritto-. Un film che si merita il classico "più che sufficiente" ma allo stesso tempo si lascia guardare con attenzione, merito anche di un cast niente male che sa il fatto suo. Ognuno di noi riuscirà a immedesimarsi in qualche ruolo del film. Complice anche le scene o avvenimenti tratti dalla vita quotidiana di tutti.