giovedì 26 settembre 2019

"Alpha: Un'amicizia forte come una vita" o, nel mio caso: "non ce la faccio, troppi ricordi" (cit.)





Sottotitolo: "Guardami come Mirko guarda i cani"


Ne è passato di tempo da quando avevo visto questo film al cinema (ora in programmazione su sky, per i vari interessati). Volevo, una volta uscito dalla sala, scrivere un post a riguardo ma ero emotivamente provato complice il mio amore per i miei cani che ormai non ci sono più da troppo tempo.

A farmi sbloccare questa idea e a esternarla c'ha pensato l'amore per gli animali di Vanessa Varini  ("Blog di cinema e non solo") e questa intervista, che potete trovare cliccando questo link. Tra l'altro ringrazio ancora per questo suo gesto nei miei confronti, è gratificante vedere persone collaborare insieme e formare un gruppo vivo, compatto...vero! Accantonando per una volta User, Nickname e blog mettendosi così a nudo imparando così a conoscere le persone e i perché delle loro vite, dimenticando il ruolo di "blogger" o nel mio caso...presunto tale, visto che spesso scrivo "di getto", come la canzone dei Fratelli Calafuria che tanto adoro.


Il film è ambientato 25.000 anni fa in Europa. Durante la caccia ai bisonti, un ragazzo rimane separato dal proprio gruppo e si trova a combattere contro le intemperie che la natura gli porta davanti e da un branco di lupi grigi. Salvandosi, ferendone uno per poi accudirlo e riabilitarlo visto che il branco l'ha abbandonato, nasce così quella che è l'amicizia tra uomo e (futuro) cane.

Perché ho avuto tante difficoltà? Innanzitutto perché durante l'uscita cinematografica era venuto a mancare il cane di una mia cara coppia di amici, il che mi aveva portato a rimandare pure la visione, di settimana in settimana. Definire "cane" Kiba, il loro Akita-Inu, è riduttivo. Loro stessi quando lo presentavano a qualcuno in mia presenza dicevano sempre "E' il fidanzato di Mirko", per le feste che mi faceva ogni volta che mi vedeva, per non parlare della compagnia e dei momenti di gioco ed euforia passati insieme. "Respect, Kiba. Come i veri", ti dicevo battendomi il pugno sul cuore e poi indicandoti, con ironia e la complicità facilmente reperibile in una coppia degna di Will Ferrell e John C. Reilly.
Poi ovviamente il ricordo va ai miei Bonnie e a Cin-Cin. Li avevo già nominati nel post riguardante il film " "Torna a casa, Jimi! (10 cose da non fare quando perdi il tuo cane a Cipro)".

Questo film mi ha commosso. Durante il film continuavo a pensare a tutti i cani che sono entrati nella mia vita, anche brevemente, ma scodinzolando con gioia. Anche se ora non ci sono più.
Mi ha fatto ricordare quanto amore incondizionato mi hanno dato tutti loro  e di come, molte volte, sono stati più amici (e soprattutto umani) rispetto a determinate persone che si ritenevano tali.
Ricordo con piacere Dana, il pastore tedesco di un cugino di mio padre, e le serate passate in sua compagnia a rincorrerci durante le grigliate mentre "i grandi" parlavano di tutto e niente e stavo spesso per i fatti miei, in quelle notti estive, tra cani e la cattura delle rane. Stesso discorso per Trixy prima e Thor poi, entrambi dobbermann dei miei cugini di Trezzo. Mia madre ricorda ancora quanti "dispetti", fatti ovviamente senza cattiveria, facevo da bambinetto e lei impassibile si lasciava si tormentare da questo bipede friulano, ma allo stesso tempo coccolare subito dopo. Il secondo invece ho avuto il piacere di conoscerlo a fondo durante un loro periodo in vacanza dalle mie parti nel 2011, notando la gelosia di Bonnie che puntualmente richiamavo all'ordine dicendole ironicamente di "prendere esempio" per l'affettuosità. Anche se lei già lo dimostrava ovviamente a suo modo, e come in tutte le cose certi dettagli li afferri solo quando non li hai più con te. "Quelle piccole debolezze che conoscevo solo io", citando Robin Williams ne "Will Hunting . Genio ribelle". E si, il rapporto che avevo con Bonnie era pari a quello di una coppia sposata, inutile negarlo.


Foto di repertorio 2011: Io che gioco con Thor, sotto gli occhi vigili (e gelosi) di Bonnie.

La lista di amici è lunga. Amici senza le virgolette, perché veramente li ritenevo tali: Un cagnolino come Ulisse, del mio vicino di casa e la sua storia: Mentre andava con la sua moto da cross dalle parti del Tagliamento aveva trovato questo cane abbandonato e ne ha preso poi cura, proprio come la canzone di Battiato e che associo alle prime operazioni di Bonnie, ovviamente operazioni per il bene della sua salute e i vari viaggi sulla mia vecchia lancia y con questa canzone di sottofondo.
Ulisse mi faceva tante feste quando mi vedeva. Peccato per la brutta fine che ha fatto, scappando poi di casa. Per non parlare di Shanna, di altri miei vicini e la sua immancabile "carota" giocatolo che si sentiva a distanza del terrazzo che ci divide...e molti altri che ora non sto a elencare ma comunque sempre presenti nella mia mente, come l'eco dei loro nomi quando venivano chiamati dai vari vicini per la pappa: "Tarrooo / Fifiii / Adùaaaa". E Arturo, il buon Arturino, fedele mascotte e intrattenitore del mio caro amico durante le partite a ISS PRO o FIFA fatte a casa sua e ovviamente Pippo: Il latin lover del paese. Il dalmata del fratello di mia nonna, Zico (Ovviamente Forza Udinese!) e i due cani di una mia cara zia, Tosh e Dog e l'idea che da qualche anno, purtroppo (per noi familiari) si sono felicemente ritrovati. Così appunto come quando mio nonno, anni dopo la sua scomparsa, ha accolto a braccia aperte il nostro Cin Cin ormai orfano di quello che era il suo compagno di vita. Come lo ero io per tutti loro.
Cin-Cin, che ogni mattina, dopo la morte di mio nonno, nell'Agosto del 1995, guardava da lontano casa sua e lo aspettava per la colazione che con una sensibilità difficile da trovare nei giorni nostri, il suo amico umano gli preparava. Eravamo come i tre moschettieri, fino ai miei 11 anni (e i due anni successivi con il mio amico a quattro zampe). Quando non andavo a scuola ero li con loro e vedevo l'amore che mio nonno donava ai nostri animali. A prescindere se erano cani, gatti o galline. E sarò sempre grato, per questa lezione che a mia volta tramanderò alle future generazioni.

Avevo scritto "felicemente", qualche riga più in alto, perché chi ha un cane sa a cosa mi riferisco. Inutile ribadire il concetto dell'amore incondizionato che i nostri amici scodinzolanti ci donano continuamente. Non mi ritengo una persona credente, il mio rapporto con la religione è parecchio complicato e ne avevo già accennato qualcosa qui . Il che fa anche capire perché le uniche "preghiere" che faccio, se così si possono chiamare ovviamente, sono rivolte a cani che vedo camminare per strade trafficate e la loro incolumità, piuttosto che a degli esseri umani. Probabilmente perché ci sono passato con Ulisse, anche se non era mio e so anche solo per riflesso il dolore che una persona prova in certe circostanze.
 Sono però convinto che, prima o dopo, tutti ci ritroveremo con gioia da qualche parte, sommersi di feste pari a quelle che Dino faceva a Fred una volta rientrato a casa da lavoro.





Inizialmente avevo scritto che molti di loro sono più umani di noi. Sacrosanta verità. Così empatici e comprensivi, privi di giudizio a prescindere dell'orientamento sessuale, religione o etnia. Forse è anche per questo che spesso sono riservato con una buona parte dei miei simili, succube le brutte esperienze vissute che hanno influenzato il corso della mia vita. Mentre con loro mi trasformo manco fossi Pallino, protagonista del libro che mi accompagna da quando avevo 8 anni a questa parte: "Cuore di cane", di Michail Bulgakov: "Il mio spirito non si arrende. Lo spirito canino è l'ultimo a morire".


Queste sono solo "confessioni di un malandrino", che fin da bambino passava più tempo in compagnia degli animali che con gli umani. D'altronde, citando la canzone di Branduardi

"E tu mio caro amico vecchio cane,
Fioco e cieco ti ha reso la vecchiaia
e giri a coda bassa nel cortile
ignaro delle porte dei granai.
Mi sono cari i miei furti di monello
quando rubavo in casa un po' di pane
e si mangiava come due fratelli
una briciola all'uomo e una al cane.

Io non sono cambiato,
il cuore ed i pensieri son gli stessi,
sul tappeto magnifico dei versi
voglio dirvi qualcosa che vi tocchi."





Foto di repertorio (probabilmente 1988/1989), io e Cin-Cin.




Anni dopo, 3 Novembre 2014, con Bonnie.


venerdì 20 settembre 2019

La mela non cade mai lontana dall'albero: Il mio rapporto con i film western (e non solo)



Quando si dice "Tutto suo padre":

Da un po' di tempo a questa parte, complice una connessione internet che non mi da l'opportunità di vedere cosa offre sky, ho tolto un po' di polvere da alcuni vecchi film presenti qua a casa. Film che volevo vedere da tempo. Una buona percentuale di loro è fatta di fanterie, cowboy e la più classica delle camminate di John Wayne.

Dal titolo del post e dalla prima riga scritta è facilmente intuibile chi, silenziosamente, mi ha influenzato a distanza di anni. Probabilmente con molta fatica, visto che il mondo dei cowboy è il suo universo da sempre: Attento collezionista dei fumetti di Tex fin dalla sua gioventù, mio padre nel corso degli anni ha sempre in qualche modo provato a spingermi in questo mondo, forse un po' troppo distante per un ragazzino (ai tempi) che restava a bocca aperta per le avventure di varie coppie o quartetti di amici. A prescindere se erano due fratelli in missione per conto di Dio, oppure Stella Solitaria e il suo fido amico "Rutto" (Spaceballs), degli acchiappa fantasmi e per finire un giovane ragazzo di Hill Valley e il suo amico scienziato (visto le videocassette che giravano a casa mia in quel periodo).

Fino a che...



(Chi mi conosce, sa che questa foto è presente in una delle mie giornaliere t-shirt. Viva la prevedibilità)


Come in una puntata dei Simpson, dove Bart incontra l'attore Buck McCoy -Doppiato dal grande Corrado Guzzanti-, nell'ultimo periodo delle elementari non ritornò "di moda" tutto ciò che aveva a che fare con i Western, ma l'ultimo capitolo di Ritorno al futuro è stata quella scintilla che inizialmente ha alimentato questo fuoco che sto vivendo a trentacinque anni, forse con la giusta mentalità. Il tutto assieme ai fumetti di Lucky Luke e di Coccobill presenti sul Giornalino.
Ricordo ancora i vari sabato pomeriggio. Io ed uno dei miei più cari amici avevamo l'abitudine di fermarci a casa mia per vedere queste varie VHS presenti a casa, dopo quella mezz'ora di dottrina. Mezz'ora, detto senza imbarazzo, dove davamo il peggio di noi: Provate ad immaginare le piccole canaglie possedute da "Giuditta", il piccolo diavolo di Benigni. Non dico altro.
Con questo mio caro amico ho tutt'ora un meraviglioso rapporto, in qualche modo avevo proiettato la complicità di Doc e Marty McFly in noi. L'esempio più eclatante che ho in mente è l'entusiasmo nel ripetere lo scambio di battute: "Mani in alto!" "E' una rapina?" "...è un esperimento scientifico."
Inutile dire che altri dialoghi del film mi sono entrati sottopelle, non li elenco altrimenti più che un post diventerà il copione del film. (Da quello che ho notato nel tempo, però, posso dire di strappare una risata generale quando imito l'espressione di Biff nel sentire perplesso la frase "Smettila di fare il Rambo!").

A distanza di anni dalla sua uscita ovviamente, catturò la mia attenzione un film che tutti abbiamo visto. Un classico del cinema italiano amato da tutti e tutt'ora presente sul finire delle serate fantozziane "frittatona di cipolle, familiare di birra gelata e rutto libero" tra amici (anche se col tempo siamo diventati molto più sofisticati: Birre artigianali da degustare e il rutto libero non è più di casa da tempo). A introdurlo una rappresentazione cinematografica delle serate appena descritte:



Ovviamente lo spareggione finale va sempre a finire tra "Lo chiamavano Trinità", appunto, e "Tombstone" con Kurt Russell e Val Kilmer.

Sui due film di Trinità è già stato detto tutto, anche se la frase di mio padre "Questo mi da l'idea di un vero Western: Gente sporca, trasandata! Non cowboy ben vestiti e ordinati" mi è sempre rimasta impressa, notando poi questa caratteristica che accomuna svariati film, influenzandomi cinematograficamente parlando nel corso del tempo, anche con le fagiolate alla Bud.
Figlia anche di quel film già citato di Robert Zemeckis è quella frase detta da Buford Tannen: "Nessuno mi chiama Cane pazzo! E soprattutto non un camarelloso, merdoso damerino come te!" , riferita a Marty/Clint e il suo look da cowboy del cinema anni '50, durante il suo passaggio nel 1885.
Come dargli torto. Ovviamente sono solo rappresentazioni cinematografiche, ma col passare del tempo ho notato questa caratteristica nei vari protagonisti (Su tutti "El Dorado", con John Wayne. Uno dei primi classici visti con attenzione). Una volta eliminato questo dettaglio critico mi son lasciato trasportare dalle storie e in un certo senso, mi son sentito molto più vicino a mio padre di quanto pensassi: Non è il classico "Indiani contro cowboys" quanto lo spirito dell'avventura, trame ben stese a coinvolgermi.

Prima di tuffarmi in questo nuovo mondo cinematografico in puro stile "vecchia scuola", concedetemi il termine, va precisato che a incuriosirmi sono stati i vari riferimenti a questo stile o determinati film. Il tutto tra i '90 e i 2000: "Scappo dalla città: La vita, l'amore e le vacche" mi ha fatto conoscere la comicità di Billy Crystal, per esempio. Ed è una di quelle pellicole che se presente in televisione di certo non cambio canale, complice anche le battute e le varie espressioni comiche dell'attore Newyorkese. La sua gioia nel conquistare il traguardo finale canticchiando la sigla di "Bonanza" a mio dire da l'idea della sua generazione e quella non troppo distante di mio padre (l'attore è del 1948, mio padre del 1954): Quella semplicità di rivivere ricordi passati da bambini, dove la fantasia e l'influenza dei fumetti di quel periodo e dei soldatini di plastica avevano la meglio, senza essere schiavi delle notifiche quotidiane.
"Cowboys and Aliens", come la serie tv Westworld, avevano catturato la mia attenzione. Ora non so se definirli "Steampunk", ma di certo il nesso è quello. Anche se della serie TV mi sono fermato alla prima stagione, la seconda ho avuto un po' di difficoltà.
Gli ultimi film, già più recenti, ad attirarmi in questa ragnatela di Whisky e sparatorie, sono "Revenant", "Django" e "The hateful eight".  E non lo dico perché adoro la bravura di Di Caprio o di Tarantino, anche se sono di parte. Ma il film vincitore del premio Oscar aveva quel messaggio extra che tanto cerco nei miei interessi: L'arte di arrangiarsi nelle situazioni estreme. Ancora meglio se ambientato in mezzo alla natura.
Da lettore quale sono, devo dire di aver letto solo dopo il libro da cui hanno tratto il film omonimo (Revenant, appunto, di Michael Punke) e in questo caso...sono pro-film: Evito di fare vari spoiler, ormai mi conoscete. Mi limito a dire che ha un finale completamente diverso. Ma non per questo non mi è piaciuto, tutt'altro.

Una volta che sono risultato positivo agli speroni e a vari album country e simili ascoltati dalla vasta collezione di mio padre, mi son sentito pronto per affrontare film quali "Il grande cielo", "Rio Lobo", "Corvo rosso non avrai il mio scalpo!", "Caccia selvaggia", "il fiume rosso" e "La costa dei barbari". Anche se quest'ultimo risulta più un film d'avventura che western. Anzi, citando il padre di un mio amico "lo conosco...è un film sentimentale più che western". Ma comunque ha il suo perché e una trama che a prescindere dai punti di vista ti cattura.
Dei tanti citati solo "Il fiume rosso", film del 1948 di Haward Hawks, non mi è piaciuto solo per il finale e la reazione che ho avuto...tutt'ora faccio fatica a trovare parole per descriverla.
Trama che mi ha catturato anche quella de "Il grande cielo", film del 1952. Sarò sincero: Tra futuri libri che leggerò (anche per risparmiare qualche soldino), ci sarà il libro omonimo di A.B. Guthrie da cui hanno tratto il film.
So della sua esistenza perché l'avevo regalato a mio padre qualche natale fa, ma lui stesso mi ha detto che il suo approccio alla lettura è calato rispetto a qualche anno fa, pur avendo letto un quarto abbondante di pagine. Farà la stessa fine di Revenant, ovvero finire tra i miei ripiani (Anche quello era un regalo per lui).

A prescindere dall'età che avanza e i Tex che si moltiplicano in camera sua (sembra un disordinato museo di Sergio Bonelli editore), sono comunque grato di tutti gli interessi che mi ha trasmesso -senza nulla togliere a mia madre che, ovviamente, anche lei c'ha messo del suo su molti altri aspetti-: Col tempo ho imparato soprattutto grazie a lui a non mettere paletti tra generi musicali completamente diversi, stesso discorso vale anche per i film. Avere una mentalità aperta ci permette di avere un occhio critico su vari aspetti, imparando a confrontarci con chi ne sa di più e seguire determinati consigli in materia e cogliere determinati riferimenti o citazioni.

In questo caso posso dir loro grazie per avermi fatto crescere in un ambiente costruttivo ricco di attività stimolanti e creatività, da bambino (nonostante tutto). Se ora so apprezzare varie canzoni di Johnny Cash e la tecnica di Joe Maphis  il merito è suo e di quel sacchetto di soldatini blu di fanteria che mi aveva regalato da bambino e complici di mille avventure svolte nel giardino casa.

Ora, con futuri cambiamenti positivi sulla mia strada e pronto per affrontare una nuova avventura nella mia vita, immagino un dialogo (non proprio) Padre-Figlio degno di Jeremiah Johnson e Del Gue, tratto dal film "Corvo rosso non avrai il mio scalpo!"




In puro stile cowboy qual'è sempre stato e sempre sarà.



(Colonna sonora ascoltata durante la realizzazione del post: "lo straniero dai capelli rossi" Willie Nelson & Merle Haggard "Django and Jimmie" )

lunedì 9 settembre 2019

"Mister Napoleone", di Luigi Garlando (Ovvero: Sotto sotto pure io ho dei ricordi calcistici)




Questo post con sfumature calcistiche sembra un po' una ripicca alla nazionale di basket e alla sua uscita prematura dal mondiale svolto quest'anno in Cina (lungi da me fare critiche ai giocatori, al coach Meo Sacchetti e a tutto l'entourage).

Ma non lo è.

Tutta "colpa" di questo libro, Mister Napoleone (narrativa per ragazzi), scritto da Luigi Garlando, che è riuscito a catturarmi capitolo dopo capitolo. Ovviamente certi fatti sono stati inventati, ma credetemi: Mi sentivo li a Sant'Elena con l'imperatore e in compagnia di Emanuele de Las Cases e questo suo diario ricco d'aneddoti e avventure.
Cosa c'entra il gioco del calcio in questo periodo storico noto a molti? Innanzitutto la strategia, successivamente (evitando spoiler), c'è una partita. E qui, come spesso accade, mi fermo. Perché le recensioni le lascio fare a chi di dovere.






Inizio dicendo che non sono una persona che vive solo ed esclusivamente di basket.
Come per l'APU Udine, sono un tifoso dell'Udinese. Questo perché le mie radici sono qua, intrecciate tra i sassi del Tagliamento. Anche se sono un meticcio di tante regioni (Sponda Torino da parte di mia madre, quindi una buona fetta di parenti si alternano tra Toro e Juve, e una nonna materna vicentina. Il che, probabilmente per osmosi, nel 1998/1999, il Vicenza di Marcelo Otero e Pasquale Luiso godeva delle mie simpatie. Senza dimenticare i cugini di Trezzo sponda Inter).
Un mio più grande rammarico, nel corso di questi 35 anni, è non avere varie foto di determinati istanti della mia vita. Ciò che mi ha spinto a scrivere questo post è stata anche l'idea di descrivere questi momenti in maniera nitida. Sfogliando queste astratte polarodid mentali. Il tutto meditato tra una riga e l'altra di questo libro.

Il primo ricordo che ho col pallone da calcio era il classico "tango", regalato ai bambini. Mi ricordo che ci giocavo con mio nonno paterno tra i vigneti di casa mia e, alle volte, si univa anche suo fratello (mio vicino di casa). Era un periodo così innocente e spensierato, nella mia mente è tutt'ora presente il mio stupore, da bambinetto di 4 anni (credo), nel vederlo palleggiare con maestria. Un piccolo osservatore...il che mi fa capire perché molti anni dopo ho preferito i giochi manageriali rispetto a quelli giocati quali fifa o PES.
Come sua moglie, anche lui seguiva spesso lo sport in tv. A prescindere se era atletica, ciclismo o calcio (cose già più "normali" rispetto a lei che fino a qualche anno fa viveva per il wrestling, american gladiators e World strongest man: la stravaganza è di famiglia). Tutt'ora lei mi racconta di quando mio nonno Bruno si addormentava sul divano durante una partita e silenziosamente cercava di rubargli il telecomando per cambiare canale, sempre con esiti negativi in quanto vigile e attento anche nel sonno.
Crescendo, alle elementari, ero un pilastro portante in difesa durante le ricreazioni nella storica rivalità sezione A vs sezione B (la mia) nati nell'1984. Il mio idolo? Ovviamente Bruce Harper, di Holly & Benji. Ero già maldestro e goffo nei movimenti (prima di scoprire appunto la pallacanestro), ma come in tutte le cose già allora mettevo anima e cuore...mentre mia madre metteva toppe sui pantaloni viste le mie uscite difensive.
Ipotetici almanacchi sportivi della scuola elementare "A. Volta" dicono "Mirko C. : tot presenze e un gol, fatto ai rivali della sezione A". A mio dire uno dei momenti più belli di sempre, se non erro in quarta elementare. Era la classica rinascita emotiva. Citando un aforismo del libro appena letto: "la fatica necessita rispetto". Probabilmente gli ultimi due anni delle elementari eravamo tutti veramente uniti. Come una vera e propria squadra.
Nello stesso periodo giocavo anche nei "pulcini" della società del mio paese, quindi gli allenamenti un po' avevano giovato.
Mi piaceva da morire, come nella pallacanestro, l'attenzione e la cura pre-partita: I parastinchi, allacciare le scarpe e immaginarmi il più delle volte come un cavaliere pronto ad affrontare avversari. Anche se il più delle volte scaldavo la panchina: un po' perché il tesserino non l'avevo fatto nei termini stabiliti, un po' perché mentalmente ero nel mio mondo immaginario e la parte agonistica non si era ancora fatta viva in me. Di certo ricordo i viaggi in macchina, specialmente una trasferta e lacrime agli occhi dal ridere assieme a tre compagni di squadra.


Abitando in un paesino di provincia, dove le alternative per i giovani sono due: O vai al bar o giochi a calcio, verso i 13 anni durante il periodo delle medie ero il più classico degli "abile e arruolato" per le partite con gli amici. La mia Udinese, beh, parliamo di una squadra che durante il mio triennio scolastico era arrivata terza in campionato e partecipava in coppa Uefa. Per non parlare di Oliver Bierhoff, Poggi, Amoroso e dei loro traguardi individuali (per questo, c'è Wikipedia ).
Prima accennavo a delle foto istantanee mai realizzate. Se devo farne una che descrive il mio rapporto con questo sport, sicuramente gioco tutte le fiches su questo momento: Era un fine settimana qualsiasi, assieme ai soliti quattro amici si andava di straforo al campo di calcio comunale scavalcando il cancello. Durante quel tragitto in bici, preso dall'euforia imitavo le varie esultanze dei calciatori (ovviamente pedalando in modalità "freestyle": Senza mani) : tra i tanti gesti c'erano la mitraglia di Batistuta, l'aeroplanino di Montella alla Samp -ai tempi- , Delvecchio. Il tutto sorridendo, circondato dagli alberi di una strada secondaria e sulla vecchia bicicletta grigia di mia nonna.

Non avevo/ho mai nascosto questo interesse, anche se ero/sono in piena overdose di palla a spicchi. Da adolescente ero succube di videogiochi quali fifa99 e fifa 2000, seguiti da ISS pro Evolution e sul finire la serie Football manager: in tutti questi videogiochi ricordavo un degno osservatore di Gaucci ai tempi del Perugia Calcio: Mentre tutti creavano la squadra con le stelle di questo sport, io cercavo giocatori arabi e asiatici. Quando vincevo era un mix di litigi, risate ed euforia.



(Un ringraziamento speciale ad Ali Daei e i gol che mi segnava in zona Cesarini su ISS PRO)



Nel mondo della lettura devo dire che questo non è il primo libro che leggo dove il protagonista o i coprotagonisti danno calci ad una palla: in principio, nella mia libreria, è comparso "L'ultimo minuto" (Narrativa straniera), di Marcelo Bakes. Un libro che probabilmente rileggerò una volta finito i nuovi acquisti, anche perché i soldi non crescono sugli alberi.
Il secondo, più recente, si tratta di "Irregolari", di Mauro Bonvicini. Molto interessante, non solo perché l'autore è friulano come me, ma perché citando il sottotitolo, tratta di "Sottoculture di strada e di stadio tra Europa e Nord America 1870-1914". Non si smette mai d'imparare. Anche perché di quest'ultimo sono stato alla presentazione presso il Trinity Pub, locale di Udine dove, salvo impegni lavorativi, mi potete trovare di tanto in tanto tra una Guinness, risate e gli ormai "handshake" brevettati con i due proprietari (il tutto tra gli sguardi perplessi degli altri clienti, ma come avevo scritto all'inizio...nel mio caso la stravaganza è di famiglia).


Nonostante tutto ho un rapporto d'amore e odio, con questo sport. Non tanto per le rivalità anche campanilistiche, quanto per le ingiustizie e le terne arbitrali ai danni dei più deboli. Che, nella vita di tutti i giorni, spesso per chi come me non riesce a stare zitto creano problemi o posizioni parecchio scomode, anche nei confronti di chi abbiamo vicino. Insomma: Sta scrivendo uno che da bambino s'incazzava vedendo continuamente Tom perdere ai danni di Jerry. Le mie reazioni spesso esagitate sono tutte nel più classico dei preventivi.
Anche se l'onore delle piccole squadre in certi casi guadagnano sempre il mio rispetto proprio per la determinazione nonostante l'avversità subita. Citando il libro:

"(...)Nonostante la disonestà e la violenza, gli inglesi non hanno potuto impedirci di portare per due volte la palla nell'arco di trionfo. Possiamo farlo ancora, perché noi giochiamo meglio di loro e a questo gioco non vince mai il più forte, ma il più abile. Non pensate all'arbitro o al risultato, soldati, pensate solo alla coccarda che portate al petto. Giocate come se ogni pallone che vi trovate tra i piedi fosse quello che può riportarci in Francia."


Ora, citando sempre una canzone dei Bluvertigo "Non odio il calcio, ma chi ne abusa". Adesso lo seguo col contagocce. Mi limito a leggere gli articoli sul quotidiano, dalle sessioni di mercato ai risultati di campionato, evitando così incazzature inutili in una vita a volte già difficile di suo. (centrando di conseguenza le mie energie da tifoso sull'APU)


Ritornando così il ragazzino che sorrideva in bici imitando le esultanze di calciatori carismatici di altri tempi e tirava i calci ad un pallone con la stessa gioia che aveva anni prima suo nonno.

(Unico rimpianto? Non aver chiesto nel 1998 l'autografo a Ganz e nel 1999 a Gargo. Incontrati il primo per una comparsata nella mia scuola a Tolmezzo e il secondo...di fronte casa mia al bancomat. Ma quest'ultima è la leggenda, confermata poi da un mio caro amico del paese, di quella che era la mia comitiva d'amici!)




Video di repertorio: Martignacco, 25 Luglio 2014. Ex giardino di un mio caro amico & compagna.