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venerdì 26 giugno 2020

"La congettura dello spaventapasseri"



"Ops, i did it Again!" Cantava una nota popstar agli inizi del 2000. 

C'è qualcosa che inconsciamente mi spinge a comprare libri riguardante riferimenti matematici o inerenti alla fisica, nonostante in questo campo ero, ai tempi della scuola, uno studente con la media del 6 -a volte meritato, altre stiracchiato-. 
Come spesso tendo a fare do la colpa alla genetica, visto che queste erano le materie dove, da studente di medie/elementari chiedevo aiuto a chi si sapeva orientare con facilità (mia madre). O forse è proprio quel titolo, ritrovato anche nel libro "La formula segreta dei Simpson" letto di recente, a dare la soluzione corretta a questo rompicapo. 

"La congettura dello spaventapasseri" è un chiaro riferimento al film "Il mago di Oz" quando, alla richiesta del cervello da parte dello stesso, il mago si ritrova incapace di donarne uno allo Spaventapasseri e gli consegna un diploma. Una volta ottenuto, il personaggio declama "La somma delle radici quadrate di due lati qualsiasi di un triangolo isoscele è uguale alla radice quadrata del lato restante". 
Stesso discorso vale per Homer Simpson che, indossando (con una discutibile dignità) gli occhiali di Henry Kissinger trovati all'interno di un W.C., esclama con inconsapevole inesattezza la medesima frase come riferimento al film. Nella stessa puntata, grazie ai monitor di sorveglianza, il Signor Burns vede Homer versione "quattrocchi" e lo assume come mazziere di blackjack -con risultati a dir poco esilaranti e ulteriori riferimenti a film quali per esempio Rain Man-.
Sono quindi uno spaventapasseri? Compro libri inerenti per dare l'immagine di persona sapiente quando in realtà sono tutt'altro? No.
Uso questi piccoli mezzi come rivincita personale e colmare quei fallimenti ottenuti da studente, dimostrando a determinati insegnanti che si sbagliavano, mentre ad altri un sentito riconoscimento. Tutt'ora spero sempre d'incontrare a lavoro la mia prof di fisica delle superiori proprio per ringraziarla e farle sapere che nonostante le montagne russe presente nei compiti in classe (che viaggiavano dal 6, occasionalmente 7...e poi finire come un noto film di Stan Lee, ovvero "i fantastici 4"), non è mai stato tempo sprecato. Da toro testardo quale sono, continuo occasionalmente a sbattere la testa e cercare risposte alle domande di vita quotidiana. Citando il libro "La fisica in casa": "In ogni azione, anche la più semplice, che avviene in casa nostra entra in gioco la fisica: a volte è la meccanica, altre la termodinamica, altre ancora l'elettromagnetismo. Ogni semplice gesto è il risultato di un complesso esperimento di fisica".
Questo perché il fanciullo interiore presente in me non ha mai smesso di chiedersi come realmente funzionano le cose e che ragionamenti sono stati effettuati per arrivare a determinate conclusioni. Le materie scientifiche mi hanno sempre strizzato l'occhio grazie anche ad alcuni personaggi di film e serie tv quali Doc Brown in Ritorno al futuro, Batman e...Scheggia, di Cip e Ciop agenti speciali. Anche se la mia esperienza fallimentare ricorda con esattezza uno che la legge della fisica l'ha stravolta subendo clamorose sconfitte puntata dopo puntata: Will E. Coyote.

L'ultimo letto in ordine di tempo (La scienza secondo i Simpson) l'ho apprezzato e non poco, nonostante queste mie cadute scolastiche. Scontato dire che conosco le puntate di questa famiglia gialla a memoria: Riferimenti alla matematica sono in ogni dove, se si fa attenzione e citando l'epilogo "Sarebbe facile per i non nerd liquidare le birichinate matematiche che appaiono nei Simpson e in Futurama come superficiali e frivole, ma questo sarebbe un insulto all'arguzia matematica della storia della televisione. Questi autori non si sono mai tirati indietro di fronte alla responsabilità di dare visibilità a qualsiasi idea matematica, dall'ultimo teorema di Fermat al loro teorema di Futurama".
Non sono una persona dalle risate facili, è risaputo. Questo libro mi ha aiutato a cogliere tutte quelle gag fotografiche da fermo immagine quali messaggi criptati o formule scritte che a primo impatto avevo accantonato.
L'avevo scoperto grazie a questo video di Asta Ndiaye, che continuerò a ringraziare per il consiglio da lei proposto. Come un degno algoritmo di internet, menziona anche "Sette brevi lezioni di fisica" di Rovelli. Libro che gentilmente mi regalerà una mia amica perché si ritrova inspiegabilmente con due copie in casa. Sono piccole coincidenze che spesso mi fanno chiedere "com'è possibile? E' destino?".


Molte volte anche noi "schiappe" (a dispetto di Homer) abbiamo un lato curioso e affamato di risposte e cambiamenti. Come dice Bruce Lipton, autore de "La biologia delle credenze" <<Il mondo cambia ogni volta che ruota su se stesso, quindi chi siamo noi per non cambiare?>>. Questo per dire che c'e sempre tempo per rimboccarsi le maniche.
Alle superiori tra i tanti gruppi che ascoltavo, c'erano in heavy rotation i Sottotono. Lo scorso anno Tormento aveva fatto uscire il singolo "acqua su marte". Il testo, che si sposa alla perfezione con questo contesto (a distanza di anni) , recita

"Quando tutto non va come vorrei
Quando mi hanno detto "non ce la farai"
(...)
Perdere serve a crescere
E diventare un uomo
Adesso mi perdono tanti sbagli
O non ti godrai i traguardi
Mi dicevano dai
come farai senza il diploma
Ci pensi mai
Che poi la vita è un'altra scuola
E' formidabile
E stan parlando alla tv, han trovato l'acqua su marte
Tutto è possibile"

("Torme", se passi in quel di Udine ti avviso: una buona birra offerta al Trinity Pub è obbligatoria. Anche per la compagnia che mi avete donato tu e Fish nel corso degli anni).


Già, perdere serve a crescere e diventare uomo. Poi se si fa dell'autoironia tutto è ancora più facile e divertente! Se vi chiedete cos'era successo durante la mia maturità era andata più o meno così, accantonando quel campanilismo che contraddistingue Udine e Trieste. L'unica differenza è che non avevo i Queen di sottofondo tanto meno la prevedibilissima "Notte prima degli esami" di Venditti, ma ascoltavo a ripetizione "Ten", "No code" e "Yield" dei Pearl Jam.

                (Tranquilli, ci sono i sottotitoli!)


Piccola curiosità inerente al video: La carta "Anche Einstein è stato bocciato in matematica" l'abbiamo giocata tutti, prima o dopo. Ricordo ancora quando l'avevo detto a mia madre, mettendo già le mani avanti alle elementari: Eravamo a Lignano e stavo leggendo le schede ad anelli allegate al "Giornalino". So già che, leggendo queste righe e ascoltando la parodia triestina della canzone dei Queen, la paziente signora citata in questione si farà grosse risate.

domenica 24 maggio 2020

"Mi Chiamo T.C." (ovvero "Dipartimento infatuazione per il suono delle proprie parole" parte II).



-Una recensione negativa per un pessimo libro-


Di solito ho vari modi per arrivare a determinati titoli di libri: Non sono un lettore che guarda le classifiche dei libri più letti. 
Negli anni passati spesso entravo in un negozio, facevo un gran sospiro e dopo aver girato in lungo e in largo compravo libri di vario genere che in qualche modo sentivo che mi chiamavano. Occasionalmente mi son fatto consigliare nel tempo determinati titoli da vari amici (Fondamentale per me la "Trilogia" di Efraim Medina Reyes, consigliata appunto da un caro amico; così come alcuni titoli di Banana Yoshimoto da un'altra cara persona).
Poi si sono aggiunti altri assi nella manica oltre al "compro questo...ha qualcosa da dirmi e devo capire cosa", che mi tocca svelare: Le recensioni del sabato presenti su SportWeek, dove occasionalmente qualche chicca interessante salta sempre fuori; altre provenienti dalla rivisa musicale "Buscadero Magazine", libri menzionati da altri libri oppure da personaggi sportivi o vicini a varie discipline: Menzioni d'onore Michele K. Posa, giornalista di wrestling e avido lettore come me e, per ultimo -da stalker, non avendo instagram- i consigli del capitano della nazionale azzurra Gigi Datome sul suo profilo del noto social. L'hastag #gigionelegge è sempre molto interessante. Soprattutto è meraviglioso vedere come uno sportivo non solo ha questo sano interesse per allenare la mente (oltre che il corpo durante le partite), ma si carica sulle spalle la frase "essere d'esempio per i tifosi e spingerli ad aprire un buon libro e leggere -o perlomeno iniziare a farlo". 

Ma...quando il libro in questione non è affatto buono?

Ovviamente il capitano non ha colpe. Anche perché ipotizzo che grazie alla casa editrice si è ritrovato tra le mani un libro che, probabilmente, va contro i suoi valori umani così com'è capitato a me. Ammaliato dalle sue buone parole descrittive era finito nella mia wishlist. D'altronde...come fai a dire di no al capitano? Ovviamente un flop ci sta e Gigi...tranquillo: Non sai quanti ne ho comprati grazie a te o ancora ne comprerò, hai sempre tutta la mia stima. Lo dice uno che non ha la bandiera del Friuli a casa (eresia!) ma inspiegabilmente una sarda e, ovviamente, due casse d'ichnusa per combattere oltre la sete, le calde giornate che arriveranno. 
Parlo di "La più amata", di T.C. E mi pesa anche solo nominarlo, perché comunque una pubblicità negativa resta sempre una pubblicità.
Ero reduce da una serie di letture estremamente positive (per i miei gusti) e in fondo al cuore speravo in un flop prima o poi, anche per spezzare questa routine. Ma non pensavo di arrivare a tanto! Aspetterò solo Martedì 26 Maggio per buttarlo nella differenziata, visto che ritireranno la carta quel giorno.

Perché non mi è piaciuto, nonostante ho letto solo 33 pagine? L'ho trovato presuntuoso, arrogante e come detto contro i valori che ho imparato fin dalla tenera età grazie alla mia famiglia. L'ipotetica ricchezza sbattuta in faccia fin da subito, tra piscine, grossi anelli e questo cognome così importante. La fama e la presunzione (oltre che un po' di razzismo buttato li, da varie etnie a noi poveri e "umili" gente di provincia, che "abbiamo il ghiaino in testa" secondo la sua nobile e ricca famiglia). Più andavo avanti più m'innervosivo per principio, visto che mio nonno ha fatto tanti sacrifici per riuscire a costruire casa mia assieme ai suoi fratelli - passando anche l'infanzia tra la povertà, guerre e lavori all'estero per mantenere un figlio e la moglie. Per non parlare del terremoto che aveva colpito la mia terra nel 1976-. Oltretutto lo stavo leggendo prima d'iniziare il turno a lavoro e si sa: Arrivare col dente avvelenato quando si lavora a contatto col pubblico non è mai bello.
Non capisco come mai questo libro aveva avuto un discreto successo, tanto da arrivare secondo al premio Strega. Sento puzza di casa editrice e di partiti politici per una (ingiusta) promozione. La cosa che mi dona pace è che non sono il solo a pensarla così: Su goodreads ho trovato molte altre pessime recensioni da chi ha avuto il coraggio di leggerlo fino alla fine. Trovando ripetizioni sul suo nome, capitoli scritti male e via dicendo.
Questo si allega al titolo:  perché "parte 2", se non ho mai scritto la parte 1? Ovviamente la parte uno è di Daniele Luttazzi, comico che adoro da quando avevo 14 anni. Anche se il libro da lui citato non è lo stesso, rende esattamente bene l'idea di cosa voglio dire. A te la parola, Daniele.



Una cosa positiva c'è però.

Se un libro come "La più amata" è arrivato secondo al Premio Strega del 2017 (se non ricordo male), ho una chances. La chances per scrivere un libro autobiografico sulla mia vita, la mia perseveranza nell'ottenere risultati e vincere il premio. Partendo alle mie sconfitte alle mie vittorie ottenute con sacrificio, impegno e determinazione. -D'altronde...se un libro così è arrivato al secondo posto la porta è aperta per tutti quanti, anche se non si è figli di noti primari o se non si ha una piscina a casa, vi avviso-.
L'unico problema è che ho imparato una cosa, da mia nonna paterna. Ovvero l'arte della riservatezza. parafrasando la canzone "Quasi adatti" dei Tre Allegri Ragazzi Morti "Quasi adatto a raccontare agli altri i propri cazzi".


Mi hanno raccontato tante favole, da bambino. Mi viene in mente come "La rana e il bue" di Esopo descrive esattamente l'impatto che il libro vuole avere nei confronti dei lettori, finale compreso. Non serve aggiungere altro.







sabato 25 aprile 2020

"Esattamente, mio caro Watson".





"L'uomo poteva prendere strade insolite", Affermava Antonio Ricci riguardante Giorgio Faletti e i suoi tanti interessi portati a termine nella vita. 
Frase a mio dire azzeccata anche per il sottoscritto e tutte le influenze che ho assorbito nel corso degli anni da parte dei miei familiari: i Western da mio padre, il Wrestling da mia nonna...manca ancora una componente, che forse a leggere questo post sta pure gongolando, visto che a mio dire è probabilmente la mia fan #1. Ovviamente parlo di mia madre. 
Come avrete intuito dal titolo, mi riferisco al mondo del giallo: Polizieschi, crime, gialli, noir e chi più ne ha più ne metta. Titolo voluto e non provocatorio, visto che Sherlock Holmes dice in molteplici occasioni la frase citata e non "Elementare, Watson". Anche se della stessa parola (Elementare), ne fa spesso uso. 

In principio tutto è nato da una costola di "topolino", ovvero "Topomistery". Il ricordo dei gadget per riuscire a decodificare le frasi criptate donava brio ed euforia per quello che era il più classico degli ingenui tra i bambini. Diciamo pure una dolce ingenuità fanciullesca.
Senza dimenticare la stazione della polizia dei lego, la serie animata presa spunto dalla nota serie "Scuola di polizia", Scooby Doo e la programmazione di "Ispettore Gadget" su RaiUno. Il cartone, non quella cosa caccolosa chiamata film con Matthew Broderick anche perché, come spesso si dice in questi casi, hanno cagato fuori dal vaso: Artiglio (da quel che mi ricordo) non si è mai visto, nella serie animata!




E ovviamente, un noto uomo-pipistrello che per quanto riguarda il crimine, lo sconfiggeva a modo suo, studiando indizi e debolezze degli avversari nella sua bat-caverna.


Crescendo poi tutti questi dettagli si sono spostati ovviamente nella lettura e nel mondo del cinema a piccole dosi ma sempre mirate e di buon gusto quando possibile. 
Concentrandomi di più sulla lettura; in questa quarantena, per esempio, gli ultimi tre libri letti hanno in comune questa caratteristica. Buffo sapere che tutto è iniziato come con "Revenant" di Punke (già spiegato nel post a tema western): Una volta finito di leggere tutti i libri in mio possesso, sono andato alla ricerca di alcuni provenienti dalla libreria di mia madre, trovando così "Detective in poltrona. Come si diventa Sherlock Holmes", di Ransom Riggs. Un regalo di Natale dello scorso anno che è stato provvisoriamente accantonato causa un Gennaio non troppo felice a casa mia. 
Come scritto nella recensione su Goodreads, anche se è stato pubblicato nel 2009, "Ad avere una DeLorean e portarlo indietro nel tempo, come l'almanacco di Biff Tannen in "Ritorno al Futuro II", sicuramente il mio genere letterario prendeva una piega molto diversa da quella attuale". Questo perché ha tutte le caratteristiche che cercavo in un libro da bambino, quei classici libri con delle belle illustrazioni e le capolettere a inizio capitolo. Sono come Amelie e il suo favoloso mondo: Mi piacciono le piccole cose ma che donano molta soddisfazione. 
Un libro che letteralmente mi ha rapito, anche se ovviamente rivela il modus operandi di Sherlock Holmes rovinando la sorpresa a chi vuole leggere i romanzi con lui protagonista o le sue avventure. Ma l'ho trovato coinvolgente e interessante come pochi. In più, capitoli tipo "come individuare una stanza segreta" mi han fatto esaltare come quando, a 13 anni, avevo visto su Capodistria "The last shot". Io, che sono cresciuto con il mito di Batman e anche adesso a 35 anni continuo a fantasticare su come e dove avere una caverna segreta o sottopassaggi, trovo un capitolo così. La voglia di setacciare tutta la casa per trovare una stanza nascosta e trasformarla nella "Cech-caverna", è alle stelle. 




Il libro va preso per quello che è, ovviamente: una descrizione dettagliata e tecnica del modus operandi che probabilmente si farà amare e odiare dai ben noti amanti del detective. Anche se, tra le cose positive, ci sono alcuni aforismi o determinate situazioni che si possono benissimo applicare alla vita quotidiana.



Successivamente è arrivato da amazon "Il mio cane preferisce Tolstoj" , di Paolo Cioni. Stappando così lo spumpante quando finalmente sono riuscito a terminare l'acquisto (al quarto tentativo in non so quanti anni). 
Un giallo tragicomico che è anche (e soprattutto) "L'ironica metafora di una ricerca di se in chiave postmoderna". Com'è scritto nella quarta di copertina. 


Onestamente, mi chiedo come mai ha avuto così poca notorietà questo libro del 2016. Almeno, credo che ha ricevuto poca visibilità: ogni volta che provavo ad acquistarlo su ibs.it o sul sito della feltrinelli puntualmente veniva eliminato, fortuna che mi ha salvato amazon!
Coinvolgente come pochi, l'avventura di Adelmo Santini mi ha fatto riflettere tantissimo, come son solito fare, proiettandomi nel protagonista e nel suo passato. Non molto simile ad alcune strade che ho preso anche io. Nel suo caso l'ex comico e con un libro di successo ritirato ormai dalle scene, si ritrova una lettera anonima minatoria. Dovendo così ripercorrere vecchi passi e vecchie strade della sua vita. Il tutto con il suo amico fumettista Gilli e il fidato "Piccolo Santini": il suo amico a quattro zampe che tanto piccolo non è, in quanto Bovaro del Bernese.
Ho amato il personaggio, ricco di sfumauture: dall'essere marpione ad avere una spiccata sensibilità, per non parlare del suo rapporto con gli animali e i suoi amici.
Allo stesso tempo ho compreso il suo "ritirarsi dalle scene". Mi ha fatto pensare a quanto poco scrivo sul blog nonostante il tempo non mi manca (sto anche facendo esecizi su esecizi per tenermi in forma)  -è vero che siamo in quarantena, ma sono pur sempre un commesso di un supermcato e gestire questo tipo di lavoro in questo periodo non è facile, quindi PER FAVORE evitiamo com'è capitato in passato paragoni lavorarivi. Come si dice in friulano "Ognun al bala cun so agna". Grazie-, ma come scritto all'inizio del post "L'uomo poteva prendere strade insolite", di conseguenza mi sto orientando su goodreads e recensire libri su questa piattaforma. Anche se a livello mentale ho un archivio bello pieno, qua manca probabilmente la motivazione. Il classico crollo emotivo dopo l'entusiasmo iniziale. Probabilmente è la quarantena che parla: pian pianino sta avendo lo stesso effetto anche Slowly. Per quanto sono nate splendide amicizie in giro per il mondo, dall'Indonesia alla Spagna, dall'America all'Ecuador -senza menzionare molte altre, connazionali compresi-, vedo in generale che l'attenzione sta svanendo pian pianino. Probabilmente il pensiero di tutti nel mondo, è quello di ritornare ad uscire di casa e fare una bella camminata o rivedere persone care e amici, piuttosto di un monitor.

Sta di fatto che la struttura di questo libro è completa. Citando mia madre "la lettura non dev'essere solo uno svago, ma deve anche arricchire". E così è stato, leggendo tra le parole non dette.

 Stappiamo quindi lo spumante per l'acquisto di "Il mio cane preferisce Tolstoj", andato a buon fine anche per le aspettative che avevo sul libro... #alittlebitofthebubbly





"Ancora con il wrestling? Non ti sembra fuoriluogo?" Direi di no.
L'ultimo, di questo mio periodo "in giallo", degno della signora dei Ferrero Rocher o di Jessica Fletcher -dovevo linkare questa canzone in qualche modo, visto tutte le volte che l'ho cantata nella mia vecchia lancia Y- si tratta della graphic novel appena finita " El Borbah " , di Charles burns.
El Borbah è un wrestling/detective a mio dire cazzuto come pochi, con un carisma che si sposa benissimo nella mia compagnia di amici, duante le fagiolate e "barili di birra". Mi son piaciute praticamente quasi tutte le storie raccontate in questo volume (Quattro storie su cinque). Come spesso accade i disegni creepy e inquietanti di Burns fanno d'atmosfera a storie intrecciate tra il noir e la fantascienza. Con dei colpi di scena finali che, come detto più volte, fanno dire al lettore "Porco due per due!" Citando appunto il protagonista nella versione italiana.
Cosa che ho apprezzato molto, in questo volume, è anche l'epilogo che spiega la nascita di questo personaggio: Di come Burns negli anni '60 a Seattle vedeva da bambino questi "omoni bianchi pelosi e sovrappeso, vestiti con costumi succinti che se le davano di santa ragione" prendendo poi così ispirazione tempo dopo, complice anche il fatto di quando, in California, scoprì i lottatori messicani tutti con queste maschere sul volto.
Avendo nominato Seattle e amando il panorama grunge di fine anni '80 inizio '90, mi sembra doveroso dire che è sua la copertina dell'album fatto da artisti vari "Sub Pop 200", dell'omonima casa discografica.


C'è ancora un mistero da risolvere: Andrò avanti con il blog o la mia mente mi porterà verso nuove avventure? L'unica pista da seguire al momento è presente solo nella mia mente. Sorridendo in maniera beffarda, guardando i nuovi acquisti cartacei e una promessa fatta ad un utente. Chi? Resterà un mistero, visto che l'unico indizio concreto è che riesco ad alternarmi tra libri e graphic novel!




(il mio approccio con le idee creative: "Kansas city shuffle": "Merda cazzo porca, esatto.")



venerdì 31 gennaio 2020

"Il corpo sa tutto", di Banana Yoshimoto



"Sono pochissimi gli amici con cui si possa stare in silenzio" (dalla quarta di copertina).


Questa frase per me è il significato esatto del termine "amicizia". In prima persona, l'ho scoperto nel Settembre del 2016, quando durante un viaggio in macchina verso la Slovenja con una cara amica di penna e scrittrice, la mia voglia di chiacchierare era alle stelle. Mi aveva spiegato con dolcezza che non per forza bisogna parlare ininterrottamente di qualcosa, anche se è la prima volta che ci vediamo. (E chi interpreta questa cosa come un segno di maleducazione nei miei confronti...beh, vi sbagliate di grosso).
Trovare la stessa frase più o meno parafrasata nella quarta di copertina per me è stato un segno. Anche perché come spesso accade, reputo i libri come cari amici. In questo caso l'amico con un ottimo tempismo, pronto a rincuorarmi a parole per i fatti recentemente accaduti come le due varie perdite narrate in precedenza.
Tentennavo se iniziarlo o meno. Volevo prendermi una pausa dalla lettura dell' i ching ed ero indeciso se iniziare questo oppure "Il grande cielo", di A.B. Guthrie ma come spesso accade, i libri ti chiamano con la loro voce silenziosa, con un perché che si viene a scoprire solo quando si giunge alla parola fine.

Non è la prima volta che leggo qualcosa dell'autrice. Il suo primo libro acquistato era "Amrita".  "kitchen" invece me lo prestarono subito dopo, più o meno intorno al 2009. "H-H" invece, arriverà tra qualche giorno per posta.
"Il corpo sa tutto" è un insieme di racconti , uniti da questo filo logico che oscilla tra mente e corpo, dolore e guarigione. Prove di vita e momenti di gioia.

Dove sta l'ottimo tempismo?

Come scritto in precedenza, di recente ho perso mia nonna (e chi ha già letto il libro, sicuramente sa dove voglio arrivare).
Dal primo racconto, ovvero "Pollice verde", ho sentito subito una morsa al cuore. Ho trovato, involontariamente, tanto di lei nelle parole dell'autrice. E cito: "La nonna parlò un poco ma subito si riaddormentò. Quando le persone cominciano a dormire così ogni giorno, di colpo la loro presenza si assottiglia. Rendermene conto mi stringeva il cuore. E così anche io prendevo parte a un evento che si ripeteva da sempre nella vita delle persone. Con la strana sensazione di guardarlo da lontano".
Non è stato facile leggere inizialmente queste parole a poche settimane dalla sua scomparsa, ma qualcosa mi ha fatto effettivamente andare avanti e continuare avidamente il libro. Non tanto per superare il dolore ma saperlo affrontare e conviverci in maniera positiva e costruttiva. Convivendo con il giusto mix di ricordi, dolore e malinconia.
Ricordo ancora quando da nipote affezionato quale son sempre stato, ho fatto quello scalino: donarle qualche momento di riposo e solitudine in quel divano dove spesso nel pomeriggio s'appisolava per concedermi un po' di tempo per i miei interessi; piuttosto delle nostre ripetute partite a briscola (dove l'ultima giocata, se non ricordo male, mi aveva pure battuto 3-2 se non 3-1, altro che le finali NBA). Proprio per via di una sonnolenza sempre più assidua.
In quei momenti, dispiaciuto, mi son reso conto che il tempo va avanti per tutti. E la classica nonna sprint che seguiva il wrestling, ha preferito concedersi l'ultimo anno da "nonna normale". Riposando sul divano e ascoltando canzoni italiane tendenti al liscio. Ciò non toglie che la sua tempra e mandare a quel paese chi non gli andava a genio è sempre rimasta presente, specialmente gli ultimi giorni in ospedale dove alla "simpatica battuta" di un visitatore (della sua compagna di stanza), "Mi raccomando...non andare in giro!", ha alzato il braccio con le flebo, mimando il classico gesto di andare via come per dire "vai a farti fottere". Lo so, non l'ha detto per via della mascherina...ma l'ha pensato. Avevamo sempre il bluetooth acceso io e lei, pura sintonia. Avevamo lo stesso carattere e lo stesso sguardo infuocato, che entrambi, nonna e nipote, lanciammo al "Ridolini" di turno facendogli abbassare la testa come un cane punito per aver cagato sul pavimento.
Donna con carattere, lo è sempre stata. La sua ultima cena è stata in pieno stile di "Menia", come la chiamavamo tutti. Col suo carattere deciso che "Ben, no stoi a mangja che porcaria di roba!"(Traduzione dal friulano: Non sto a mangiare quella porcheria di roba -riferito allo stracchino e ad altre pietanze servite per l'occasione dall'ospedale), preferendo una pappetta di frutta mista facilmente reperibile in qualsiasi negozio. 
Anche questo episodio mi ha fatto sorridere ritrovandolo in un racconto successivo, quale "Una sera luminosa": << "Se sapessi quanto fa schifo il mangiare qui...Stamattina ci hanno servito del vero cibo per gatti! Aveva un odore tale che non sono riuscita a toccarlo!" mi raccontava ad alta voce camminando nel corridoio, incurante delle tante infermiere presenti, mentre mi accompagnava all'ascensore. Quando la porta si chiuse, il disegno del pigiama di lei che mi salutava agitando la mano mi rimase per qualche istante negli occhi. >>.
Infermiere che comunque l'hanno sempre seguita specialmente l'ultima che l'ha vista sospirare e ci ha chiamati quando, nel giro di 20 minuti per via del tragitto in macchina, ci aveva abbandonato. Incredula e in lacrime pure lei proprio per la tenacia e quel "Never give up" presente in questa signora di 88 anni -e si, visto il motto scritto, pure fan di John Cena. 

Col passare dei giorni ho trovato molto affetto da parte di chi mi stava vicino anche solo col pensiero e con un messaggio. Cari amici che con semplici gesti erano presenti col cuore e con la mente, anche chi spesso si rimproverava per la lontananza e voler fare necessariamente di più. Talmente severi con se stessi da causare una sorta di Seppuku mentale. Dimenticando che in momenti come questi la persona, spesso, va capita e compresa soprattutto per i suoi silenzi citati a inizio post. Silenzi che sicuramente continueranno ad arrivare, riservato come sono. Un lutto (o più, nel mio caso) non è come cambiarsi un paio di mutande. Certo, ho ripreso a sorridere. Ma bastano tanti ricordi associati a foto oppure oggetti per finire nel mio infinito abisso di riflessioni, soprattutto a lei (o loro) rivolte. 
"Mi raccomando: Cerca di mangiare e di dormire" sono le frasi che più ho sentito in quel periodo. Continuerò a ringraziare chi me lo ripeteva in maniera ossessiva, vuoi perché ci sono passati, vuoi perché il classico "orso in letargo" quale sono e che conoscevano, era più un Binturong che vagava senza meta, senza sapere cosa o quando mangiare e concedersi riposini in posti x  quali divano o brandine presenti a casa, a orari poco normali.



(Più o meno così. Questo è un Binturong, il mio animale preferito dopo i cani ovviamente)

Anche questa situazione è descritta egregiamente nel brano "I fiori e il temporale":
<<Quando morì sua madre, tutti coloro che sapevano quanto lui l'amasse non ebbero il coraggio di dirgli generiche parole di conforto. Tanto il suo amore e il suo abbattimento erano comprensibili e sacri.
E' una cosa che capisce chiunque abbia perso una persona che ama veramente.
Quando gli telefonai per fare le condoglianze era stranamente allegro.
E' una reazione che le persone hanno per i primi tempi, quando hanno perso qualcosa d'importante. I giorni della solitudine vera arrivano dopo, implacabili, confondendosi con la quotidianità. Per quanto ne possa essere ben cosciente, un amico non può fare niente. Può solo stare a guardare.
"Piangi tanto, mangia tanto, dormi tanto", gli dissi. "E poi non c'e altro da fare che aspettare che passi il tempo".
"Farò così" rispose lui. "Piangerò tanto, mangerò tanto, dormirò tanto, mi metterò tanto profumo."
E tutti e due, col cuore stretto, ridemmo.>>


Grazie a questo post e alle parole di Banana Yoshimoto, cerco di far capire a quelle persone che effettivamente mi vogliono bene, che se non rispondo è per questo motivo. Come ho detto più volte, vivete tranquilli, senza l'ossessione delle spunte o microfoni blu su whatsapp (parlo in generale, sia chiaro, perché conversazioni lasciate in sospeso ne ho molte).
Finalmente sto trovando la giusta motivazione e organizzazione per andare avanti, con la stessa forza di mia nonna quale lei era nota avere. Non rispondere immediatamente o vivere qualche giorno di silenzio non è (detta con uno slang giovanile) "non mi caga", ma "ha bisogno solo di un po' di pace mentale". E se si vuole veramente bene ad una persona, vanno compresi anche e soprattutto questi silenzi.

Pace che ho trovato in questo libro, che anche se pura narrativa, sa molto su di me e in maniera molto colorita e romanzata anche in altri brani non citati, sulla mia famiglia.
Armonia che sto trovando nella natura, passeggiando quando posso nella mia zona pedemontana. Trovando, nell'aria aperta, la giusta ispirazione per esprimere al meglio la mia creatività. A prescindere se scritta o suonata.


"Penso che la natura guarirà le tue ferite di cuore. Fai attività fisica, respira aria pulita e risorgi, mi raccomando! A presto" (Banana Yoshimoto, sempre da "Il corpo sa tutto").

(SPOILER: Quest'ultima frase mi ha dato un'idea per un futuro post. chissà...) 


sabato 28 dicembre 2019

"Quattro vite speciali", di Mariella Biagini e Chiara Zucconi



E' sempre difficile scrivere due righe riguardante un libro. 
Specialmente se, in questo caso, una delle due autrici è una mia cara amica ed è alla sua prima esperienza, la paura di scrivere giudizi di parte o negativi è sempre presente. Dovrò utilizzare una faccia da poker alla Marco Belinelli duante i suoi anni migliori in NBA per la realizzazione di questo post e non cadere in tentazione.  

"Quattro vite speciali" parla di quattro donne che, pur non conoscendosi, affrontano insieme un viaggio per risolvere i loro problemi della vita. Collaborando, nonostante il passato che si lasciano alle spalle e che di tanto in tanto ritorna. (Lo so, Chiara, riassunto molto striminzito. Ma non amo fare spoiler, motivo in più per spingere le persone a procedere all'acquisto, è il mio "modus operandi"). 
Se c'e una cosa che amo dei libri, però, è di come ti capitano tra le mani al posto giusto e al momento giusto, quando si dice "tempismo". 

L'ho trovato molto scorrevole, visto che l'ho letto in mezza mattinata mentre ero a fare le solite flebo in ospedale qualche giorno fa. L'ho gustato, assaporato in ogni sfumatura senza immedesimarmi nei personaggi perché...beh, sono un uomo. Ma mi ha fatto rivivere l'idea di dover "prendere e andare", senza conoscere nessuno. Come quando anni fa nel mese di Dicembre, speranzoso, avevo fatto i salti mortali in questura per realizzare il passaporto e poi, mese dopo mese, anno dopo anno, nel 2019 è ancora privo di timbri. 
Senza nulla togliere ai viaggi passati fatti in dolce compagnia, sono tornato indietro nel tempo al 2007. Dove senza conoscere nessuno e senza amici (e senza aria condizionata da Bologna, credo, fino a Lecce) avevo pianificato il viaggio Udine-Nardò. Non per andare a ballare in Puglia come canta Caparezza, ma per risolvere alcuni problemi che avevo nella mia mente e che solo io potevo risolvere. Con la spensieratezza di un turista come le quattro protagoniste alle Isole Cayman, ma con l'occhio vigile per capire cosa fare di me e del mio futuro: Nel mio caso, avevo appena finito il mio percorso scolastico ed ero entrato in punta di piedi nel mondo del lavoro come operaio. 
Ricordo ancora le chiacchiere fatte con una signora a me molto cara e che mi ha aiutato tanto in questo nuovo percorso della mia vita. Una discussione in una scura notte salentina tra bicchieri di Negroamaro (non quello del supermercato...quello vero!) dove dovevo ripartire da zero, mettendo in soffitta uno scatolone di decisioni sbagliate quali, per esempio, "istituto professionale e idraulico", affrontando un nuovo cambiamento.  Così come l'infinito pianto liberatorio per accettare le sconfitte scolastiche o della vita stessa. In silenzio, sul letto del B&b che mi ospitava senza dar (para)noia a chi gestiva o agli altri residenti. 

Come una tappa obbligatoria nella vita. Un passaggio carico di consapevolezza e responsabilità per le decisioni prese.




Parlavo di tempismo nel leggerlo. Quante volte progetto di prendere e andare, prendendo esempio da un cugino che sta a Fuerteventura o un'altro a Miami. 
La sera prima d'iniziare il libro è stata la classica giornata da dimenticare, dove tutto era andato storto, volevo gettare la spugna e dar vita al desiderio spesso presente in ognuno di noi. Dalle mie parti si dice "Voie di lâ vie", "Voglia di andare via". Che si, ha lo stesso significato. Ma per noi friulani, così legati alla nostra terra è un coltello a doppio taglio. Consapevoli che tante piccole cose che abbiamo qua non le troviamo da altre parti. La mia fortuna è che, anche se sono nato e cresciuto qui, sono un meticcio (evidentemente il cane, come animale, è il mio spirito guida) di due regioni. Come un fiume che verso la foce si ramifica in più bracci, anche le esperienze passate della mia famiglia si ramificano in più regioni e più esperienze anche all'estero e di conseguenza questo sarà il mio futuro. Cittadino del Mondo -Mia madre stessa, durante il terremoto del 1976, senza conoscere nessuno, dalla provincia di Torino ha mollato tutto per venire a soccorrere i terremotati come volontaria, o mia nonna paterna nata in Italia ma cresciuta in Francia...l'elenco è lungo-. 
Se devo anestetizzare tutto ciò che mi crea confusione organizzando un viaggio come racconta il libro, con altre tre persone (a prescindere se amici o amiche)? Nel mio caso no. I miei viaggi terapeutici vanno da una a due persone. Ma è una terapia, anzi, un'esperienza che consiglio a tutti: Chi di noi non è estremamente stufo quando le cose non vanno come dovrebbero andare? Dei vari vampiri energetici che ci spolpano energia solo per potersi ricaricare lasciandoci sfiniti (e pure coi sensi di colpa)? O semplicemente di avvenimenti gravi che ci mettono i bastoni tra le ruote. Problemi ben più seri e importanti.

La risposta? Prendete e andate, senza paura! Mi viene in mente la prima puntata di Perdipiave e soprattutto l'introduzione ad essa con le parole di Lele Marcassa:  "Perdersi, invece di ritrovarsi". Proprio perché i viaggi servono anche a questo, a livello introspettivo.


L'idea di unire Bianca, Anna, Enrica e Giulia (le protagoniste) dal nulla; in un nuovo gruppo di amiche partendo da zero l'ho trovata perfetta. D'altronde è risaputo: cerchiamo sempre di trovare conforto tra le parole degli amici a noi vicini, ma gli stessi sono di parte. Capaci di donarci una spalla su cui piangere o dandoci ragione anche se siamo nel torto, oppure (come accade nel mio caso) cazziarci per idee surreali da fare insieme (Quando propongo a mezzo mondo di fare la patente nautica, andare a vedere l'alba in cima al monte Matajur o qualsiasi altra folle idea mi passa per la testa. "Ma ti droghi/Hai fumato/Tu non sei normale" sono le risposte standard). Gli estranei, persone con cui non abbiamo confidenza sono neutrali. Non vedono in noi un amico ma una persona X e come spesso accade ci donano le risposte migliori. Risposte che a volte fanno male o facciamo fatica a digerire, ma comunque reali. Giuste. 


Spetta solo a noi, riprendendomi al giocatore di basket nominato nell'introduzione, avere le "Huevos grandes" (come dicono in Spagna) e affrontare i cambiamenti della vita. A costo di dover stravolgere piani e abitudini per affrontare un viaggio, un percorso di maturazione interiore assieme a chi è uguale e diverso a noi.


In quanto di parte, non voglio recensirlo ulteriormente o svelare i pro e i contro del libro. Le recensioni, come dico sempre, le lascio fare a chi di dovere. Queste sono solo riflessioni di un "avido lettore" (come mi chiama Chiara) che i suoi viaggi terapeutici li fa aprendo un libro. Come in questo caso.

Sperando, prima o poi, di riuscire a mettere un timbro "reale" in quel maledetto passaporto sommerso dalla polvere.








martedì 12 novembre 2019

"Gioco come sono", di Luigi Datome con Francesco Carotti



Caro Gigi

Ho letto il tuo libro e pensavo di "recensirlo" così sul mio blog, come una lettera scritta dal più classico degli ammiratori sportivi al suo beniamino. Una lettera/post che difficilmente leggerai perché non ho i social noti a tutti che mi permettono di condividerla, ma la fantasia e la creatività sono validi alleati. 
Innanzitutto ti rassicuro: non sono uno dei tanti mitomani da te descritti. Nel mio piccolo, da 35enne, ho avuto dei brevi momenti di gloria emozionanti come tutti gli amanti del nostro sport, quindi so la fatica e il sacrificio che hai messo nel tuo percorso lavorativo per ottenere risultati nonostante la diversità delle prospettive, anche se mi sono fermato alla categoria under 21 provinciale giocando in squadre locali, scaldando panchine e sbucciandomi ginocchia per ogni palla recuperata, da buon gregario. 

Posso dire con piacere che sto parlando bene a vari amici e conoscenti delle parole da te usate nel raccontare la tua storia, spero che questo passaparola li porta ad acquistare il tuo libro o al limite chiedermelo in prestito, anche per l'enfasi che metto nel descriverlo che è pari a quella di Flavio Tranquillo durante le telecronache della nazionale da te capitanata. Questo perché ne parlo non solo ad amici che masticano qualcosa di pallacanestro, ma anche ai vari lettori che, come noi, divorano libri su libri e ammirano questa tua passione. A proposito, grazie per la recensione su Caino di Saramago scoperta "abusivamente" su instagram -visto che non sono iscritto-. Se non era per te non lo scoprivo.
Persone con valori come i tuoi se ne incontrano raramente e come spesso accade quando leggo, ho rivisto nelle tue avventure qualcuno che in qualche modo conosco fin troppo bene: il mio capitano nei tre anni fatti nella squadra che, con alti e bassi, mi aveva svezzato dai tiri fatti al campetto coi cugini e che, destino vuole, aveva ed ha tutt'ora gli stessi colori del tuo Fenerbahçe. Non solo capitano, ma un ragazzino (ai tempi) cresciuto assieme a me ed era pure mio vicino di banco alle elementari. In quel periodo vedevo la pallacanestro come da te descritta nei tuoi 15 anni: Il mio poster in camera non era di Allen Iverson ma una convocazione di All Star che partivano dai Bulls di Jordan arrivando a dei giovani Kevin Garnett ai tempi di Minnesota o delle meteore come Shareef Abdul Rahim. Il tuo idolo per me era come punto di riferimento riguardo l'altezza, visto che ripetevo continuamente "Almeno arrivare a 1.83 come "The Answer" ", fermandomi poi miseramente a 1.76.
Sarò sempre grato al "capitano" Enrico perché come te aveva una leadership innata. Io ero solo un malato di NBA e LegaBasket (quando il "pando" Bonora e "La mosca atomica" Pozzecco si scontravano per lo scudetto). La lavata di capo che mi faceva puntualmente mi riportava alla realtà giocata e non immaginata, anche se per me la pallacanestro era evasione dall'anonimato. Nei periodi scolastici ero il Sig. Nessuno, ma quando giocavo e indossavo la mia canotta col 18 mi sentivo bene, come Superman col mantellino, a prescindere dal minutaggio. 
Il poster della nazionale, come quello della Snaidero Udine, era sempre presente. Leggendo tra le righe del tuo libro, quella del mio poster era la nazionale medagliata "Più forte di sempre", come la chiami tu. Con questo non voglio dire che quella attuale fa pietà, tutt'altro. A parole tue "Ad oggi ogni nazione ha un giocatore che milita nell'NBA" e credimi che si, mi mangio le mani se perdete una partita, ma mi limito tra me e me a battute sarcastiche e finisce li, ricordando le mie piccole sconfitte e di quando potevo toccare il cielo con un dito. La cosa che mi rattrista, a detta della pallacanestro italiana, è ovviamente il minutaggio degli italiani in un campionato dove gli americani spesso vengono presi dalla G-League, e tu sai dove voglio arrivare visto che l'hai scritto. Vedo comunque nuovi prospetti qua e la e sono comunque molto positivo per il futuro azzurro. Da qualche parte il feedback deve pur arrivare, non trovi?
Oltretutto tra i tanti ricordi associati alla nazionale, probabilmente quello più bello è quando vi ho visti a Trieste nel quadrangolare del quattro Agosto del 2014. Parafrasando le tue parole, quando hai la mano sul petto, vestendo l'azzurro e senti l'inno l'emozione provata è incredibile. Posso dire altrettanto da tifoso. Vi vedevo fare il riscaldamento, notavo dall'altra parte un Mirza Teletovic a caso che parlava italiano meglio di me con alcune persone del pubblico e, durante la partita contro il Canada, i due canadesi (tra i tanti convocati) Sacre e il tuo ex compagno Kelly Olynyk che davano un simpatico siparietto ma per le espressioni facciali. Usando le tue parole "Vestire l'azzurro è il sogno di tutti i bambini che si affacciano nel mondo della pallacanestro (e anche degli altri sport)", Chi si è perso per strada come il sottoscritto vede in voi giocatori di puro talento il sogno mai realizzato e vi dona il tifo più caldo...o esagitato. Anche se nel mio caso mi sono calmato nel corso degli anni, per la gioia di chi di solito si siede vicino a me.


Il capitolo da te scritto, "Itaca", dedicato alla tua Sardegna, mi ha aperto gli occhi su tante cose in generale.
Innanzitutto ho notato come voi sardi e noi friulani siamo caratterialmente simili. Testardi, orgogliosi della propria terra e dediti al lavoro, concentrati. Ma una volta rotto il ghiaccio con le persone o gli sconosciuti siamo tutti amici di tutti. Lo so per certo perché nel mio comune c'e una comunità sarda molto elevata. Una similitudine, quella tra Sardegna e Friuli, che noti sicuramente durante manifestazioni internazionali vestendo l'azzurro: Mi ha donato un meraviglioso sorriso vedere la bandiera del Friuli vicino a quella della tua regione durante il mondiale in Cina. Due bandiere identitarie che tu e Dada Pascolo, anche se non era tra i convocati, riconoscete molto bene ovunque andate. La cosa buffa, se vogliamo, è che penso di essere uno dei pochi friulani che non ha con se la bandiera che lo rappresenta (eresia!), in compenso magicamente ho trovato in camera mia una bandiera dei quattro mori, sicuramente donata da qualche amico di famiglia a mio padre che, disordinato com'è, ha pensato di regalarmela senza mancare di rispetto a tutti voi piuttosto di perderla.
Tu l'hai chiamata "Itaca", io la chiamo "Alaska", ripreso ovviamente ripreso da "Nelle terre estreme". Perché dopo alcuni viaggi, come te (e come Alexander Supertramp in questo caso), la pace la riesco a ritrovare nel bel mezzo del verde che mi circonda. Evadere da questa società malata, come la chiamava Alexander Supertramp...

"Alaska Alaska.
Dritto, sparato lassù nel mezzo...nel bel mezzo, cazzo. Solo io e basta, cioè senza, senza un cazzo di orologio, niente mappa...niente accetta, capisci? Stare semplicemente la in mezzo fra le montagne, i fiumi, il cielo." (Parafrasando un monologo tratto dal film "Into the wild")
Leggendo libri circondato dalla natura e scoprire poco per volta posti nuovi nelle vicinanze che aspettano solo di essere ammirati. Anche se a differenza tua non ho instagram per fotografarli e condividerli. 
Spero un giorno di poter visitare la tua meravigliosa "Itaca", come la chiami tu e chissà, integrarmi in questa realtà non tanto diversa dalla mia, se non per l'elemento naturale.



Ce ne sono di cose di parlare, in queste tue 254 pagine...lascio per ultimo questi due punti a mio dire fondamentali:

Spesso hai menzionato lacrime e allenatori: Per un percorso come quello dell'under 21 azzurra che stava per finire o per l'approccio iniziale che hai avuto con la nazionale in giovane età (o quella sera a Detroit da solo con il Cointreau, anche se le lacrime non c'erano).
Ricordo le mie, era l'ultima partita di playoff categoria allievi ( o forse ragazzi?) del 1998. Eravamo in sei, mi son detto "Cazzo, se non mi fa giocare oggi...". Morale della favola aveva chiamato per forza di cose un '85 per avere un po' di polmoni in più. Avevamo perso, io (anche se ero ancora acerbo su certi aspetti), non avevo giocato e non avevo potuto aiutare i miei compagni di squadra al passaggio del turno. Di fronte a me in spogliatoio un mio caro compagno piangeva per la sconfitta. Le mie, di lacrime, le avevo versate per chi non credeva in me. Volevo già alzare bandiera bianca e salutare prematuramente quello che poi col passare degli anni era diventato un gruppo di persone a cui ho voluto e vorrò sempre bene.
A distanza di anni e di tanto odio provato per quel coach, posso solo dirgli grazie. Perché avevo passato l'estate a lavorare sui fondamentali imprecando con una sete di rivincita da fare invidia a molti, non ero un "caschetto biondo che non smetteva mai di palleggiare" citando il tuo ex compagno di squadra Andrea Pecile, ma capelli a parte...poco ci mancava: Il pallone da basket era sempre con me e, come spesso accade, citando un noto slogan di un brand a te conosciuto (visto le tue scarpe gialle) "Impossible is Nothing". Così come il cambio di coach, quella stessa estate, che mi aveva dato il giusto valore fin dalla prima partita .
"Potevo restare li ad amareggiarmi, invece mi sono allenato e allenato. Quando nessuno crede in te, qualunque cosa che fai è positiva", diceva Gilbert Arenas. La lezione l'avevo imparata prima del tuo libro ovviamente (era l'estate del 1998), ma l'insegnamento morale da te ricevuto per quell'occasione passata l'ho imparato solo dopo averlo chiuso una volta finito.

La seconda cosa è che come te, suono anche io (il basso, però). Ci sentiamo sempre dire la solita frase "Mi suoni qualcosa?" e anche qui ti ringrazio per l'empatia trasmessa...



...Serve aggiungere altro?

Non posso far altro che ringraziarti, continuare a consigliare il libro alle persone a me vicine (o a quelle che leggeranno questo post) e consigliarti a mia volta "L'inquietudine delle isole" di Silvia Ugolotti. Vale come l'abbraccio di un tifoso nostalgico d'altri tempi, lontano da selfie e momenti da mitomane. Come quel bambino che ti salutava durante l'allenamento del Fener (Bahçe! ...olè!)

Citando sempre Pecile... "Stai sereno...sempre...!"

Mirko











mercoledì 6 novembre 2019

Siamo tutti Caino. ("Caino", di Josè Saramago)


Quando si dice "Il libro giusto al momento giusto. L'insieme di coincidenze e pensieri combacia tutto alla perfezione, forse anche troppo per realizzare un post che, nella mia mente, è già stato scritto creando così la difficoltà di mettere realmente per iscritto ciò che viene proiettato da quando ho finito l'opera del premio Nobel per la letteratura nel 1998. 

Piccola premessa: Ho sempre bistrattato la religione sul blog, anche perché io e lei siamo su due pianeti diversi ma non troppo distanti tra loro come a primo impatto sembra. Come tutti, sono stato battezzato e cresciuto secondo uno schema imposto dalla società e dalla cultura in cui siamo cresciuti. Il lato positivo, nonostante questa diffidenza, è che gli anni passati a catechismo o alle lezioni di religione alle elementari/medie, sono stati comunque utili per comprendere queste storie e conoscere i vari personaggi della Bibbia. Non bisogna mai dare niente per scontato. Oltretutto questo piccolo punto a mio favore mi permette, come spesso accade, di comprendere battute di satira religiosa (o farle "al vetriolo", stando attento a chi ho davanti) dette da vari comici, oppure film quali "Brian di Nazareth", "Il senso della vita", "La pazza storia del mondo Vol.1", "Il Pap'occhio " e molti altri. Stesso discorso anche per i libri da me in possesso o, come spesso accade, battute e riferimenti fatti cartoni animati o serie tv. Insomma: Se devo ridere per una battuta, devo giustamente capirla. Non come Homer Simpson che si limita al più classico dei "Deh-ih-oh...mulo", dimenticando il resto.
                                                     





La storia di Caino e Abele la conosciamo tutti, questa versione rivisitata merita, se non l'avete letta, attenzione e curiosità: Ricca di fraintendimenti, con un Caino riflessivo e un Dio capriccioso, malvagio. Che non sa cosa vuole e che non ama gli uomini, rifiutando per capriccio il sacrificio di Caino, causando così l'assassinio di Abele da parte del protagonista. Per punizione, invece di essere ucciso a sua volta, Caino si ritrova come viandante "avventuriero" viaggiando attraverso il tempo nei vari episodi dell'Antico Testamento. Un po' come spettatore, un po' da protagonista. 


E qui iniziano le "mie" coincidenze e riferimenti, perché si sa, la mia mente non sta ferma un momento.

In questo periodo viaggio sempre in macchina con l'album di Nitro "Danger", del 2013. Uno dei miei album preferiti soprattutto per i testi che, come spesso accade, li sento sottopelle per esperienze vissute nel quotidiano, come tutti.
L'album inizia con la traccia "0" e il dialogo tratto dal film Crank, del 2006. Brano che a mio dire ha un suo perché, se associato a questo libro:

"Sono come Terminator!"
"Forse lo eri una volta, ma ormai sei stato rimpiazzato."
"Senti, io non capisco: Perché non mi hai fatto a pezzi quando ne hai avuto la possibilità?"

L'essere rimpiazzato da qualcuno dello stesso sangue (nel caso del libro, ovviamente), sentirsi emarginato perché, come accade, il raccolto dell'orto di Caino ottenuto con fatica e sudore non soddisfa Dio per il poco fumo che produce, vuoi anche per una corrente d'aria tutta a favore di Abele.
Chi di noi non ha provato questa sensazione? A parte ovviamente l'atto violento fatto poi da Caino. Tutti ci siamo passati. Pure io, anche se sono figlio unico.
Uno dei tanti esempi che mi torna alla mente, ritornando a quel periodo orribile chiamato "scuola media", è dovuto ad un compito di geometria in stile "art attack" che avevo realizzato alla bene e meglio e soprattutto da solo. Guadagnandomi risate e un voto insignificante quanto il professore. Da "Caino" qual'ero mi son chiesto: il tre me lo merito, certo... ma quanti degli altri studenti hanno realmente fatto da soli il proprio lavoro e quanti magari erano sul divano a cazzeggiare mentre i genitori erano pronti a parare il culo ai figli, facendo i compiti al posto loro? Soprattutto, quanto è attuale questa cosa nel 2019, dove i genitori protestano per un brutto voto mettendo a rischio la credibilità e il lavoro degli insegnanti garantendo ai figli un futuro da "ameba a vita autonoma", dove a tenerli in vita è la luminosità dello smartphone?
Personalmente, detta senza censure, a me non è mai fregato un cazzo di essere il primo della classe o di avere i voti migliori. La mia attitudine, da sempre, è quella di rimboccarmi le maniche e fare di testa mia quello che so fare. Dimostrare il mio valore e "dare valore" a quelle tipologie d'insegnanti che sapevano come prendermi. Saldi nel loro ruolo e zero favoritismi.   Se non studiavo, arrivavo a casa e senza filtri dicevo "Mamma, ho preso due". Se andava bene faveco lo stesso: "Ho preso sette". (Se leggi, mamma, sai che le cose andavano esattamente così). Ricevere un voto regalato era come rubare. Magari faceva anche comodo a fine anno, ma se un 4 diventava 6 "per grazia ricevuta", io cos'avevo imparato realmente di quella lezione?
D'altronde parlano chiaro anche le prime strofe della canzone:

"Questa è la rabbia che il primo non conosce mai per davvero
E che raccoglie il secondo, che si sente il numero zero
Se sei bravo per davvero alla gente gli rode
Ma se sei pericoloso mettono i bastoni fra le ruote"

Ed è così che il libro, effettivamente procede. Forse le troppe perplessità e riflessioni di Caino, chiedendosi viaggio dopo viaggio "che Dio è quello che predica amore e poi uccide innocenti e bambini, da Sodoma e Gomorra al diluvio universale." e via dicendo. Un po' come Lennon che aveva detto  "i Beatles sono più popolari di Gesù" e successivamente, nell'album Imagine, canta nella canzone omonima "Imagine all the people living life in peace (Immagina tutte le persone vivere la vita in pace)" e successivamente, qualche canzone dopo in "How did you sleep?" augurare la morte a Paul McCartney : "Those freaks was right when they said you was dead (Quegli strambi aveano ragione quando avevano detto che eri morto)". Coerenza a mille... Ecco perché non mi è mai piaciuto. Sempre preferito George Harrison.
D'altronde, anche nei componenti di una band ci sono figli e figliastri. Chi ruba la scena e chi spesso fa il lavoro sporco ma, come spesso accade, non viene calcolato. E se non sono i membri, molte volte sono i gruppi stessi a fare distinzioni gli uni con gli altri (i "The monkeees", purtroppo, ne sanno qualcosa ).


Da un'altra prospettiva si può vedere la classica richiesta di risposte da parte del credente medio, se vogliamo: "come può Dio farmi questo o quello?". Quando a mio dire, siamo noi gli artefici della nostra vita con le nostre decisioni anche involontarie. Questa cosa mi ha sempre fatto ridere. Trovo comico chi cerca risposte in qualcosa di astratto, invece di usare la logica: Se tutto ti va storto, babbeo, è colpa tua. D'altronde è risaputo anche nelle lezioni di fisica: "Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale o contraria": Rivolgersi a questa entità "onnipresente" con i più classici "perché ho perso il lavoro/mi ha tradito/capitano tutte a me"... io ti direi, invece di pregare,  "perché sei un pirla: lavori male/non presti attenzione a chi hai vicino/alza la testa e spegni il cellulare". E' facile scaricare le colpe a chi non è presente (in tutti i sensi) solo per sentirsi più leggeri con se stessi. Ma riguardo questo argomento, lascio la parola a Natalino Balasso.





Alla fine chi fa una vita "da Caino" come nel libro di Saramago, a mio dire, ha una vita molto più ricca. Leggere capitolo dopo capitolo del protagonista che vive esperienze future, viaggiando nel tempo, è pari all'esperienza di noi lettori. Perché, citando Umberto Eco "Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: La propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c'era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l'infinito...perché la lettura è un immortalità all'indietro".
Caino, in questo caso, c'era: Quando Abramo era pronto per sacrificare Isacco, quando ha visto tremila uomini morti solo perché Dio si era irritato per l'invenzione di un ipotetico rivale in figura di vitello, le mura di Gerico e di Giobbe, punito per una scommessa fatta con Satana.
Una vita più ricca perché nonostante tutti gli sbagli che commettiamo, impariamo (come insegna Rafiki a Simba nel link)  a correggerli o rifletterci su come sono andate le cose. Imparando a guardarci con gli occhi delle altre persone.
Durante i suoi viaggi, si presenta in vari nomi, prima di utilizzare la sua vera identità. Inutile dire che durante un dialogo letto, la mia mente ha proiettato questa scena tratta dal film "Dead man", di Jim Jarmusch.



Nessuno: "(...) vidi molte cose tristi, tornando alla terra della mia gente. Quando capirono chi ero, il racconto delle mie avventure li fece infuriare. Mi chiamarono Bugiardo, "Exaybachay"... colui che parla ad alta voce senza dire niente. Mi coprirono di ridicolo, la mia stessa gente. Mi costrinsero a vagare su questa terra da solo...io sono Nessuno." 
Caino in questo caso è "il re degli sconfitti, senza finire mai al tappeto". Il numero zero, nessuno. Parafrasando sempre la canzone di Nitro (e altri campionamenti presenti nella canzone).


Ma come canta Nitro (e chi la pensa come lui, tipo il sottoscritto e un noto giocatore di basket, Gilbert Arenas)  "...Ricorda che lo zero viene prima del numero uno".

martedì 1 ottobre 2019

"Space Invaders: We the Nemesis, the Genesis, that's comin' from the sky"


Tempo fa avevo letto un libro, "Gli  alieni nella Bibbia", di Xaviant Haze. 

Per vari motivi ho sempre rimandato la creazione di questo post perché c'è tanto da dire, sull'argomento. Oltretutto sul web tutti hanno già scritto tutto, ritrovandomi ad essere il numero xx a parlare di alieni. Corro il rischio, pensando al consiglio di una mia cara amica scrittrice: "non devi censurare mai i tuoi pensieri, scrivi liberamente". Cercherò così di non ripetere argomenti facilmente reperibili su siti e programmi televisivi quali "Enigmi Alieni", ma dire semplicemente il mio punto di vista, costruito nel tempo da varie riflessioni e, in questo caso, dalla lettura.


                                                                              



Innanzitutto rientro nella categoria di persone che crede nelle altre forme di vita da sempre. A incuriosirmi, c'ha pensato pure il cinema e vari mass media (musica compresa: Vedi la canzone dei Bluvertigo "Altre forme di vita", o il personaggio fittizio di David Bowie "Ziggy Stardust". Tra l'altro, vi consiglio la lettura del romanzo "L'uomo che cadde sulla terra", da cui hanno tratto il film con Bowie stesso come protagonista).
Da bambino ricordo che i primi "perché?" sono nati grazie alle immagini presenti sul tubo catodico. Primo su tutti, ovviamente, "E.T." di Steven Spielberg. La storia la conosciamo tutti.
Successivamente, prima di perdermi negli "Incontri ravvicinati del terzo tipo", sempre dello stesso regista, a terrorizzarmi fu una pubblicità del 1992 di un noto supermercato diretta nientemeno che da Woody Allen, dove alcuni alieni, prima di ritornare nel loro pianeta nativo, pianificavano una tappa sulla terra per fare la spesa. (Va detto che a rivederla ora, a 35 anni e apprezzando lo stile dell'artista NewYorkese, due risate me le sono fatte).
L'elenco è lungo, sia dei film quanto per le serie tv e animate: X-Files (una delle mie preferite) e gli stessi Animaniacs per esempio: Complici del sodalizio tra Warner Bros e Spielberg non perdevano occasione per buttare li nel cartone animato l'amico di Elliot. Per non parlare della trilogia di Men in Black, Mars Attacks,  anche "American Dad" con Roger e i suoi amati cioccodrilli. Come dimenticarci poi di Spaceballs e la parodia di "Aliens" con l'intero cast di Ridley Scott (Xenomorfo compreso) che si presta a questa scena ormai diventata cult, per gli amanti del genere. "Oh no...ancora!".



 Insomma, il mondo dello spettacolo in tutte le sue forme ci ha donato nel corso degli anni vari film dedicati al tema o anche alcune battute buttate li, un po' per riderci su e un po' per rispondere alla classica domanda "C'è vita nell'universo?" (sperando di non ricevere risposte pari a quella di Quelo alias Corrado Guzzanti "Mah, un po' il sabato sera") .
Con il passare del tempo, tra vari libri quali "Incontri ravvicinati" ricevuto all'età di 12 o 13 anni e successsivamente "il dizionario enciclopedico sugli UFO", avevo iniziato a fare il più classico degli uno più uno. Complice anche un periodo, da teenager/adolescente, dove i vari insegnamenti imposti dalla società iniziano a stare stretti per molti di noi. Religione compresa.
Ricordo ancora le ultime volte dove partecipavo alla più classica delle funzioni domenicali, a farmi scattare gli ingranaggi che poi mi tormentarono e mi tormentano tutt'ora, fu quella frase sull'ascensione di Gesù. "Salito al cielo". Citando la canzone di Salmo, "Space Invaders":

"Un nuovo Dio ostile con più stile e le antenne
La pelle grigia, viene da un'altra Betlemme
Sì, già sapevi della sua esistenza? Giura, se fosse ufficiale
Dio diventerebbe fantascienza pura, ti pare?"

Ovviamente sono una persona dalla mentalità aperta. Rispetto il credo delle altre persone e a differenza di certi "personaggi", non sto a suonare il campanello alle 9.00 del mattino di domenica per parlare di Dio. L'invadenza non è nel mio modo di fare. Oltretutto i vari insegnamenti ricevuti, nel corso del tempo tra catechismo e nelle scuole, mi danno modo comunque di avere un dialogo costruttivo con le persone e poter dire la mia in maniera civile e rispettosa, sapendo ciò che sto dicendo evitando di parlare a vanvera. Anche se spesso a tavola le mie affermazioni sono battute satiriche sulla religione seguite dal più classico dei "Mirko, con me le puoi fare...ma cerca di trattenerti se a tavola c'è tua nonna o tuo padre", di mia madre, spesso spettatrice divertita di certe mie idiozie "alla Luttazzi". Stesso discorso per le T-Shirt "a tema" che mi contraddistinguono: da Zoidberg versione Gesù in una nota puntata di Futurama, ai Ghostbuster che catturano Qualcuno d'importante e una delle mie preferite: La classica maglietta rossa del Che ma con l'immagine di "Ecce Homo" (il dipinto di Elias Garcia Martinez, rovinato dalla parrocchiana 80enne nel 2012 durante la restaurazione) e la scritta "viva la restauracion".


Il libro citato all'inizio, "Gli alieni nella bibbia", l'ho preso per pura curiosità. Va detto ovviamente che non bisogna mai prendere come oro colato tutto ciò che si trova tra le pagine di un libro.
Allo stesso tempo però, l'ho trovato curioso se letto con la mentalità giusta. I vari giganti quali Golia, i carri alati e la moglie di Lot che diventa una statua di sale per aver disobbedito agli ordini e ovviamente, angeli: messaggeri alati sempre presenti. Tenendo conto che si tratta del Vecchio Testamento, non avevano ancora un linguaggio tecnologico avanzato per descrivere determinati avvenimenti.
Ci sono molti parallelismi tra i vari "credo", soprattutto presenti in famiglia. Ho notato questo, grazie al libro. In primo luogo la diffidenza se si tratta l'argomento base. Fonte di discussione accesa tra me e mio padre e come spesso accade, argomento che viene accantonato per il quieto vivere tra le mura di casa. Anche se il confronto, se costruttivo, può arricchire le persone (vai a spiegarlo, in certi casi il detto "non c'e peggior sordo di chi non vuol sentire" è sacrosanto). A prescindere da quale parte della bilancia stanno. In secondo luogo le prove: sono il più classico dei "San Tommaso": Se non vedo, non credo. Fatta eccezione per gli alieni. Mi sembra riduttivo pensare che siamo soli nell'universo. Ogni tanto mi viene da ridere a pensare a noi umani: Facciamo qualcosa di buono o costruttivo e ci sentiamo originali (io in primis nel cimentarmi in qualsiasi cosa, che sia suonare uno strumento o scrivere in un blog). ma se allarghiamo l'obiettivo scopriamo solo che siamo minuscoli come formiche, in confronto a tutto ciò che ci circonda. Per non parlare di quanto le persone ci rendono la vita difficile e ci sentiamo spesso impazienti nei confronti di gesti così infantili. Ma anche qui a venirci in soccorso (e a far capire quanto è vasto l'universo) ci pensano i Monty Python e la loro "Galaxy song", presente nel film "Il senso della vita". Qua sotto riproposta durante il "live Mostly", con tanto di Stephen Hawking che si presta, con la sua nota autoironia, a un simpatico sketch.



Adesso non voglio aprire l'argomento sulla teoria degli antichi astronauti o la teoria del paleocontatto altrimenti "facciamo notte". Diciamo che di base io credo nell'evoluzione della specie. Ogni tanto anche io ho i miei limiti, quando sento affermazioni riguardante l'influenza extraterrestre nella vita sulla terra. Anche se quando guardo certe forme di vita qui presenti, come i ragni, per esempio, spesso la mia mente va in tilt per via di tutte quelle zampe e occhi presenti in questi aracnidi, creando così la più classica delle espressioni sul mio volto degne di Dennis Hopper nel film "Velluto blu", di David Lynch, quando ascolta "In Dreams" di Roy Orbison.

Di certo sono convinto di una cosa: Se non si sono fatti ancora vedere è perché siamo noi quelli incredibilmente violenti, cattivi verso il prossimo e guerrafondai. Non loro.  Anche se fosse, ho imparato una cosa tra i banchi di scuola durante le lezioni di fisica: "ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria". Non per niente una piccola percentuale dei miei sogni sono appunto attacchi alieni, probabilmente in riflesso delle pessime notizie ricevute dai telegiornali.

Citando il libro:

"Poi c'e il paradosso di Fermi, che tenta di spiegare perché apparentemente siamo soli nell'universo. Il fisico sosteneva che se esistono delle civiltà evolute, dovremmo aver già ricevuto delle prove a sostegno, e forse è così ogni volta che ci guardiamo allo specchio. Naturalmente, è possibile che vengano a visitarci in continuazione, restando celati dalle loro tecnologie avanzate. I governi di tutto il mondo potrebbero anche nascondere la loro presenza, per non parlare del fatto che gli esseri umani forse non sono una specie che vale la pena di salvare e loro, gli extraterrestri, ci stanno semplicemente osservando in una Disneyland aliena in attesa che ci autodistruggiamo in un olocausto nucleare". 



 
Cosa già vista in una delle mie puntate preferite di  South park.



E voi, ci credete agli alieni?















lunedì 9 settembre 2019

"Mister Napoleone", di Luigi Garlando (Ovvero: Sotto sotto pure io ho dei ricordi calcistici)




Questo post con sfumature calcistiche sembra un po' una ripicca alla nazionale di basket e alla sua uscita prematura dal mondiale svolto quest'anno in Cina (lungi da me fare critiche ai giocatori, al coach Meo Sacchetti e a tutto l'entourage).

Ma non lo è.

Tutta "colpa" di questo libro, Mister Napoleone (narrativa per ragazzi), scritto da Luigi Garlando, che è riuscito a catturarmi capitolo dopo capitolo. Ovviamente certi fatti sono stati inventati, ma credetemi: Mi sentivo li a Sant'Elena con l'imperatore e in compagnia di Emanuele de Las Cases e questo suo diario ricco d'aneddoti e avventure.
Cosa c'entra il gioco del calcio in questo periodo storico noto a molti? Innanzitutto la strategia, successivamente (evitando spoiler), c'è una partita. E qui, come spesso accade, mi fermo. Perché le recensioni le lascio fare a chi di dovere.






Inizio dicendo che non sono una persona che vive solo ed esclusivamente di basket.
Come per l'APU Udine, sono un tifoso dell'Udinese. Questo perché le mie radici sono qua, intrecciate tra i sassi del Tagliamento. Anche se sono un meticcio di tante regioni (Sponda Torino da parte di mia madre, quindi una buona fetta di parenti si alternano tra Toro e Juve, e una nonna materna vicentina. Il che, probabilmente per osmosi, nel 1998/1999, il Vicenza di Marcelo Otero e Pasquale Luiso godeva delle mie simpatie. Senza dimenticare i cugini di Trezzo sponda Inter).
Un mio più grande rammarico, nel corso di questi 35 anni, è non avere varie foto di determinati istanti della mia vita. Ciò che mi ha spinto a scrivere questo post è stata anche l'idea di descrivere questi momenti in maniera nitida. Sfogliando queste astratte polarodid mentali. Il tutto meditato tra una riga e l'altra di questo libro.

Il primo ricordo che ho col pallone da calcio era il classico "tango", regalato ai bambini. Mi ricordo che ci giocavo con mio nonno paterno tra i vigneti di casa mia e, alle volte, si univa anche suo fratello (mio vicino di casa). Era un periodo così innocente e spensierato, nella mia mente è tutt'ora presente il mio stupore, da bambinetto di 4 anni (credo), nel vederlo palleggiare con maestria. Un piccolo osservatore...il che mi fa capire perché molti anni dopo ho preferito i giochi manageriali rispetto a quelli giocati quali fifa o PES.
Come sua moglie, anche lui seguiva spesso lo sport in tv. A prescindere se era atletica, ciclismo o calcio (cose già più "normali" rispetto a lei che fino a qualche anno fa viveva per il wrestling, american gladiators e World strongest man: la stravaganza è di famiglia). Tutt'ora lei mi racconta di quando mio nonno Bruno si addormentava sul divano durante una partita e silenziosamente cercava di rubargli il telecomando per cambiare canale, sempre con esiti negativi in quanto vigile e attento anche nel sonno.
Crescendo, alle elementari, ero un pilastro portante in difesa durante le ricreazioni nella storica rivalità sezione A vs sezione B (la mia) nati nell'1984. Il mio idolo? Ovviamente Bruce Harper, di Holly & Benji. Ero già maldestro e goffo nei movimenti (prima di scoprire appunto la pallacanestro), ma come in tutte le cose già allora mettevo anima e cuore...mentre mia madre metteva toppe sui pantaloni viste le mie uscite difensive.
Ipotetici almanacchi sportivi della scuola elementare "A. Volta" dicono "Mirko C. : tot presenze e un gol, fatto ai rivali della sezione A". A mio dire uno dei momenti più belli di sempre, se non erro in quarta elementare. Era la classica rinascita emotiva. Citando un aforismo del libro appena letto: "la fatica necessita rispetto". Probabilmente gli ultimi due anni delle elementari eravamo tutti veramente uniti. Come una vera e propria squadra.
Nello stesso periodo giocavo anche nei "pulcini" della società del mio paese, quindi gli allenamenti un po' avevano giovato.
Mi piaceva da morire, come nella pallacanestro, l'attenzione e la cura pre-partita: I parastinchi, allacciare le scarpe e immaginarmi il più delle volte come un cavaliere pronto ad affrontare avversari. Anche se il più delle volte scaldavo la panchina: un po' perché il tesserino non l'avevo fatto nei termini stabiliti, un po' perché mentalmente ero nel mio mondo immaginario e la parte agonistica non si era ancora fatta viva in me. Di certo ricordo i viaggi in macchina, specialmente una trasferta e lacrime agli occhi dal ridere assieme a tre compagni di squadra.


Abitando in un paesino di provincia, dove le alternative per i giovani sono due: O vai al bar o giochi a calcio, verso i 13 anni durante il periodo delle medie ero il più classico degli "abile e arruolato" per le partite con gli amici. La mia Udinese, beh, parliamo di una squadra che durante il mio triennio scolastico era arrivata terza in campionato e partecipava in coppa Uefa. Per non parlare di Oliver Bierhoff, Poggi, Amoroso e dei loro traguardi individuali (per questo, c'è Wikipedia ).
Prima accennavo a delle foto istantanee mai realizzate. Se devo farne una che descrive il mio rapporto con questo sport, sicuramente gioco tutte le fiches su questo momento: Era un fine settimana qualsiasi, assieme ai soliti quattro amici si andava di straforo al campo di calcio comunale scavalcando il cancello. Durante quel tragitto in bici, preso dall'euforia imitavo le varie esultanze dei calciatori (ovviamente pedalando in modalità "freestyle": Senza mani) : tra i tanti gesti c'erano la mitraglia di Batistuta, l'aeroplanino di Montella alla Samp -ai tempi- , Delvecchio. Il tutto sorridendo, circondato dagli alberi di una strada secondaria e sulla vecchia bicicletta grigia di mia nonna.

Non avevo/ho mai nascosto questo interesse, anche se ero/sono in piena overdose di palla a spicchi. Da adolescente ero succube di videogiochi quali fifa99 e fifa 2000, seguiti da ISS pro Evolution e sul finire la serie Football manager: in tutti questi videogiochi ricordavo un degno osservatore di Gaucci ai tempi del Perugia Calcio: Mentre tutti creavano la squadra con le stelle di questo sport, io cercavo giocatori arabi e asiatici. Quando vincevo era un mix di litigi, risate ed euforia.



(Un ringraziamento speciale ad Ali Daei e i gol che mi segnava in zona Cesarini su ISS PRO)



Nel mondo della lettura devo dire che questo non è il primo libro che leggo dove il protagonista o i coprotagonisti danno calci ad una palla: in principio, nella mia libreria, è comparso "L'ultimo minuto" (Narrativa straniera), di Marcelo Bakes. Un libro che probabilmente rileggerò una volta finito i nuovi acquisti, anche perché i soldi non crescono sugli alberi.
Il secondo, più recente, si tratta di "Irregolari", di Mauro Bonvicini. Molto interessante, non solo perché l'autore è friulano come me, ma perché citando il sottotitolo, tratta di "Sottoculture di strada e di stadio tra Europa e Nord America 1870-1914". Non si smette mai d'imparare. Anche perché di quest'ultimo sono stato alla presentazione presso il Trinity Pub, locale di Udine dove, salvo impegni lavorativi, mi potete trovare di tanto in tanto tra una Guinness, risate e gli ormai "handshake" brevettati con i due proprietari (il tutto tra gli sguardi perplessi degli altri clienti, ma come avevo scritto all'inizio...nel mio caso la stravaganza è di famiglia).


Nonostante tutto ho un rapporto d'amore e odio, con questo sport. Non tanto per le rivalità anche campanilistiche, quanto per le ingiustizie e le terne arbitrali ai danni dei più deboli. Che, nella vita di tutti i giorni, spesso per chi come me non riesce a stare zitto creano problemi o posizioni parecchio scomode, anche nei confronti di chi abbiamo vicino. Insomma: Sta scrivendo uno che da bambino s'incazzava vedendo continuamente Tom perdere ai danni di Jerry. Le mie reazioni spesso esagitate sono tutte nel più classico dei preventivi.
Anche se l'onore delle piccole squadre in certi casi guadagnano sempre il mio rispetto proprio per la determinazione nonostante l'avversità subita. Citando il libro:

"(...)Nonostante la disonestà e la violenza, gli inglesi non hanno potuto impedirci di portare per due volte la palla nell'arco di trionfo. Possiamo farlo ancora, perché noi giochiamo meglio di loro e a questo gioco non vince mai il più forte, ma il più abile. Non pensate all'arbitro o al risultato, soldati, pensate solo alla coccarda che portate al petto. Giocate come se ogni pallone che vi trovate tra i piedi fosse quello che può riportarci in Francia."


Ora, citando sempre una canzone dei Bluvertigo "Non odio il calcio, ma chi ne abusa". Adesso lo seguo col contagocce. Mi limito a leggere gli articoli sul quotidiano, dalle sessioni di mercato ai risultati di campionato, evitando così incazzature inutili in una vita a volte già difficile di suo. (centrando di conseguenza le mie energie da tifoso sull'APU)


Ritornando così il ragazzino che sorrideva in bici imitando le esultanze di calciatori carismatici di altri tempi e tirava i calci ad un pallone con la stessa gioia che aveva anni prima suo nonno.

(Unico rimpianto? Non aver chiesto nel 1998 l'autografo a Ganz e nel 1999 a Gargo. Incontrati il primo per una comparsata nella mia scuola a Tolmezzo e il secondo...di fronte casa mia al bancomat. Ma quest'ultima è la leggenda, confermata poi da un mio caro amico del paese, di quella che era la mia comitiva d'amici!)




Video di repertorio: Martignacco, 25 Luglio 2014. Ex giardino di un mio caro amico & compagna.

domenica 25 agosto 2019

"(Non) sto alla larga da Riverdale!" (Jughead Vol.1, di Chip Zdarsky & Erica Henderson)





I più attenti di voi avranno sicuramente notato che, tra libri che sto leggendo, qualche giorno fa era comparsa la copertina di questa graphic novel. Ovviamente la durata della lettura è stata breve (quanto la comparsa nel blog), non per giocarmi la classica frase "capirai...i fumetti si leggono in poco tempo". Quanto per la storia e di come mi aveva incredibilmente rapito, per tante ragioni e ovviamente tante risate e citazioni non troppo velate.

Il mio interesse per l'universo "Riverdale & Archie", a parte la serie tv in onda penso su netflix che non guardo perché...si sa: Ho gusti strani per le serie tv; è nata nel lontano 1988, quando avevo quattro anni e su Italia Uno nel palinsesto c'era (per noi nostalgici) "Zero in condotta", serie animata tratta appunto dai fumetti "Archie".
Col passare degli anni, durante il mio classico caffè del sabato mattina al bar, sfogliando le recensioni della rivista sportweek mi cade l'occhio su quella dedicata al primo volume della nuova collana "Archie". Inutile dire che è stato amore a prima vista, visto che qua a casa ho al momento i primi due volumi su cinque.
A incuriosirmi però, la stessa casa editrice ha nella collana i volumi dedicati ad uno dei personaggi più eccentrici della serie: Jughead, appunto.




Al resto, come sempre, ci ha pensato ibs.it.



In questo volume Jughead cerca di salvare la scuola dalle strane idee del nuovo preside, ovviamente il tutto tra un hamburger e l'altro come suo solito.
La cosa che più mi ha colpito sono i vari film mentali presenti tra i capitoli, quando il personaggio in questione sviene o come spesso accade si addormenta in punizione: Proietta nella sua mente scene cinematografiche dove lui è protagonista, ovviamente.
Questo piccolo dettaglio mi ha spinto a scrivere il post, proprio perché come accade anche nel film "I sogni segreti di Walter Mitty", soffro dello stesso problema. Se così si può chiamare.
Come scritto in qualche post precedente, da studente ero molto anonimo e stavo sulle mie, anche se nella mia mente m'immaginavo come uno dei classici protagonisti dei teen movie di quel periodo ("Road Trip", "Giovani, pazzi e svitati" e "100 ragazze" per citarne alcuni). Le avversità o alcune situazioni le affrontavo in un mondo parallelo. Dove tiravo fuori le palle e riuscivo a impormi in quella che era una gerarchia non scritta e come nella giungla "vige la legge del più forte (o del più carismatico)".
Peccato poi che una volta "ritornato nel mondo reale" ero il classico Sig. Nessuno, con le cuffiette e la musica a pieno volume.

A distanza di anni posso dire che questo "vizio" è ancora presente in me: Sul posto di lavoro come nella vita di tutti i giorni m'immagino affrontare determinate situazioni come un mozzafiatante eroe dei film d'azione (o, se sono d'umore nero, faccio fare a determinate persone una brutta fine, in pieno stile Quentin Tarantino per capirci).
Ovviamente non ci sono solo situazioni negative: come spesso accade, complice anche una presunta nostalgia musicale, se nella playlist c'e una canzone che ha quel "non so che"  riesco a immaginarmi di nuovo con il basso in mano, da bravo frontman a coinvolgere il pubblico presente nell'ipotetica sala concerti.
Per non parlare delle mie (tristi) battute che, quando le penso in macchina -ridendo pure da solo per quanto mi fanno ridere-, una volta che prendo confidenza con persone complici mi lascio andare...il più delle volte con risultati penosi. Questo perché ognuno ha un senso dell'umorismo diverso.
In tutta onestà questa caratteristica che accomuna me, Junghead e Walter Mitty non è negativa: Proiettare una situazione parallela, anche se surreale, con la dovuta mentalità e lucidità può essere uno stimolo sia a livello carismatico che di fiducia in se stessi: ovviamente se qualcosa nella vita va male, di certo non mi metto a fare una sparatoria degna di Django (con la canzone di Tupac in sottofondo), ma riesco in questo modo a scaricare tutta la tensione necessaria e affrontare il problema con la giusta logica e appunto, con una lucidità impeccabile. Mantenendo una calma a dir poco invidiabile, anche se da toro quale sono...non è sempre facile contare fino a dieci. (Chi è del mio stesso segno zodiacale sa di cosa parlo).

Tra le tante "genialate" presenti nel primo volume, per citarne alcune, c'è il frame "Game of Jones", dove Jughead in questa proiezione deve salvare il regno non per avere la mano della principessa ma per...un vassoio dei migliori fireburger. Oppure l'easter egg degli autori, dove tra i nomi della petizione di Betty ci sono le loro firme. (le altre non le nomino, compratevi il volume!).

E' vero: Bisogna restare sempre con i piedi per terra ed essere sempre razionali. Ma come dico sempre "Sognare ad occhi aperti è gratis e terapeutico, il più delle volte". Lo dicono anche i Persiana Jones nella loro canzone "Ore e giorni":

"Con la mente posso avere tutto quello che non so
tutto quello che non ho visto mai
posso andare via di qua e sognare posti che
io di certo non vedrò stando qua"

E voi? Avete letto queste nuove graphic novel o siete ancora legati alla serie animata/telefilm?